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Il capomafia dell’intera Sicilia

by Redazione Web
26 Giugno 2020
in Mafie
Reading Time: 11 mins read
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Anche Giuseppe Genco Russo, nato a Mussomeli il 26 gennaio 1893, capomafia riconosciuto dall'intera Sicilia, cercò in tutti i modi, al pari di Navarra e di Vincenzo Di Carlo, di nascondere i connotati reali della sua personalità sotto una scorza apparente di rispettabilità sociale e morale, nella ricerca continua di posizioni di potere, soprattutto politico, che servissero ad accrescere il suo prestigio.

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Ma a differenza di Navarra e di Di Carlo, Genco Russo, nella prima parte della sua vita, subì numerosi procedimenti penali e fu subito qualificato ufficialmente come un mafioso, con la conseguenza, perciò, che per lui fu più difficile che per altri conquistarsi il rispetto dell'ambiente in cui visse e la fiducia dei rappresentanti dell'apparato pubblico con cui ebbe a che fare.

Le cronache infatti ricordano che durante il fascismo, Genco Russo fu processato molte volte, più di una dozzina e per i reati più vari, dall'omicidio pluriaggravato, alla estorsione, alla violenza privata, all'associazione per delinquere, al furto.

Egli però fu condannato in una sola occasione, per il delitto di associazione per delinquere, a sei anni di reclusione; in tutti gli altri casi, invece, venne prosciolto in istruttoria o assolto in giudizio, quasi sempre per insufficienza di prove, malgrado che già in un rapporto del 4 marzo 1927, il Questore di Caltanissetta avesse scritto di lui che era «amico di pregiudicati pericolosi», che si era creata una consistente posizione economica «col ricavato del delitto e con la mafia», infine che era un «elemento capace di delinquere e di turbare col suo operato la tranquillità e la sicurezza dei cittadini».

Nei processi però, mancavano le necessarie testimonianze, e i giudici finirono col trincerarsi nella formula del dubbio, ciò che consentì a Genco Russo, forte di una sfilza di assoluzioni per insufficienza di prove, di accrescere la sua reputazione di mafioso autorevole, abile ed anche fortunato.

Nel 1934, tuttavia, dopo la condanna e dopo l'effettiva espiazione di circa tre anni di reclusione, Genco Russo fu sottoposto alla misura di sicurezza e di libertà vigilata.

Il provvedimento quindi fu revocato nel giugno del 1938, perché l'interessato «aveva serbato buona condotta, non aveva dato più luogo a rimarchi di sorta e si era dato a stabile lavoro, dando con ciò prova di ravvedimento».

Genco Russo, così, potette riprendere tranquillamente la sua attività mafiosa, e continuarla da quel momento e per molti anni ancora, senza essere più costretto ad esporsi in prima persona, ma potendo ormai contare su precisi agganci ufficiali, che col tempo e col mutare degli eventi sarebbero divenuti sempre più saldi ed estesi.

All'indomani della liberazione, le autorità alleate, giunte a Mussomeli, nominarono Genco Russo sovrintendente all'assistenza pubblica, mettendolo così nelle migliori condizioni per ricostruirsi una facciata di onorabilità.

Il tentativo gli riuscì abbastanza facilmente, tanto che, quando chiese la riabilitazione della condanna subita, il maresciallo dei Carabinieri della stazione di Mussomeli attestò nelle informazioni di rito che il condannato aveva «dato prove effettive e costanti di buona condotta, dandosi a stabile lavoro, dimostrando attaccamento e premura verso la famiglia e godendo nel pubblico di buona reputazione».

Pertanto il 31 gennaio 1944, ottenne la riabilitazione dalla Corte d'Appello di Caltanissetta, aprendosi quindi le porte per una scalata politica e sociale.

A questo fine, si schierò dapprima col Movimento separatista, e svolse poi durante la campagna elettorale per il referendum istituzionale una intensa propaganda a favore della monarchia, tanto da guadagnarsi, per intervento dell'onorevole Pasqualino Vassallo, l'onorificenza di Cavaliere della Corona d'Italia.

Successivamente, anche Genco Russo si iscrisse alla Democrazia cristiana riuscendo a stabilire rapporti di una certa consistenza con alcuni parlamentari democristiani della provincia di Caltanissetta, come attesta un rapporto dei Carabinieri del 12 maggio 1956, e ad inserirsi nell'ambiente di notabili locali, tanto che i Carabinieri riferirono, in un altro rapporto del 30 marzo 1956, di averlo notato «il settembre 1955, celebrandosi ad Acquaviva Platani (Caltanissetta) la sagra del pesco e la festa della stampa democristiana, fra le personalità religiose, pubbliche e amministrative del capoluogo di provincia, tra le quali il Vescovo ed il Prefetto», per prendere poi parte «ad un pranzo offerto alle autorità e agli esponenti del luogo».

Furono questi tra il 1940 e il 1963 gli anni dell'ascesa di Genco Russo.

Qualificato da tutte le informazioni di Polizia come un uomo d'ordine, vicino ai centri di potere locali e provinciali, Genco Russo ebbe in pratica mano libera, per crescere da un lato il suo prestigio, tra i cittadini e tra i mafiosi e per costituirsi dall'altra una solida, invidiabile posizione economica.

Dal momento della morte di Calogero Vizzini, nel 1954, fu considerato il capo assoluto di tutta la mafia siciliana, riuscendo, dall'alto di questa posizione, a rinsaldare, in una serie di incontri avvenuti in varie località e documentati in modo irrefutabile, i collegamenti esistenti con l'organizzazione gangsteristica italo-americana.

Inoltre, con alcune operazioni particolarmente spregiudicate (e delle quali si tornerà a parlare in seguito), portò il suo patrimonio immobiliare ad un'estensione di oltre 147 ettari in agro di Casteltermini, Caltanissetta e Canicattì, mettendosi così in grado di chiedere ed ottenere numerosi prestiti da istituti di credito, appunto giustificati, come attestò in una sua nota lo stesso Governatore della Banca d'Italia, dalla consistenza di un patrimonio «valutato in circa ottanta milioni».

La posizione raggiunta e l'idea di una presunta invulnerabilità spinsero Genco Russo a farsi includere nelle liste della Democrazia cristiana in occasione delle elezioni del 1960 per il rinnovo del Consiglio comunale di Mussomeli.

Naturalmente, gli elettori gli accordarono la loro fiducia e il Consiglio comunale il elesse anche alla carica di assessore, ma nel 1962 una violenta campagna di Stampa lo costrinse a dimettersi.

Da allora la sua fortuna declinò, tanto che prima venne inviato al confino e poi fu condannato per il delitto di associazione per delinquere.

Negli anni precedenti, però, Giuseppe Genco Russo era stato veramente un esempio tipico del capo mafioso, di chi cioè detiene nella società in cui vive un potere reale, talora confuso o sovrapposto a quello legittimo, ma mai veramente in concorrenza con le sue manifestazioni, di chi in particolare riesce ad assumere e ad esercitare nei confronti della comunità le funzioni di ordinatore, protettore, mediatore e consigliere.

Come Navarra e Di Carlo, anche Genco Russo ebbe una chiara consapevolezza di questo suo ruolo e dell'inevitabile necessità che qualcuno se 1o assuma per i bisogni collettivi della vita negli ambienti in cui la morale locale non coincide con quella del potere legittimo.

«Sono nato così» disse in un'intervista del 1960 «senza scopi mi muovo. Chiunque mi domanda un favore io penso di farglielo perché la natura mi comanda così. Viene uno e dice: ho la questione col tizio, vede se può accordare la cosa. Chiamo la persona interessata, o vado a trovarla io, a seconda dei rapporti, e li accordo. Ma io non vorrei che si pensasse che le dico queste cose per farmi grande. Non voglio assolutamente che paia che io le dica queste cose per farmi grande: le dico queste cose solo per cortesia, perché ho fatto tutta questa strada. Io non ci sono né vanitoso, né ambizioso. La gente chiedono come votare perché sentono il dovere di consigliarsi per mostrare un senso di gratitudine, di riconoscenza, si sentono all'oscuro e vogliono adattarsi alle persone che gli hanno fatto bene».

 

Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle mafie, VI legislatura, 4 febbraio 1976

 

Per approfondimenti:

Prima parte, venerdì 27 marzo 2020: MAFIA, le origini remote

Seconda parte, venerdì 3 aprile 2020: La MAFIA nella storia dell’Unità d’Italia

Terza parte, venerdì 10 aprile 2020: Le attività mafiose

Quarta parte, venerdì 17 aprile 2020: I mafiosi

Quinta parte, venerdì 24 aprile 2020: Lo Stato di fronte alla mafia

Sesta parte, venerdì 1° maggio 2020: La MAFIA degli anni del dopoguerra

Settima parte, venerdì 8 maggio 2020: La MAFIA a difesa del latifondo

Ottava parte, venerdì 16 maggio 2020: MAFIA: le vicende del separatismo

Nona parte, venerdì 22 maggio 2020: MAFIA e Banditismo

Decima, venerdì 5 giugno 2020, Le funzioni della MAFIA di campagna

Undicesima, venerdì 19 giugno 2020, Il capo della mafia di Corleone

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