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È il tramonto del sarrismo senza colori o del ciclo della «Signora»?

by Alessio Di Florio
10 Agosto 2020
in Il Guastafeste
Reading Time: 7 mins read
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«Sic transit gloria mundi», così passa la gloria del mondo o – se preferite – come sono effimere le cose del mondo.

Quanto accaduto è ormai di dominio pubblico e sta riempiendo da giorni pagine e ore di discussioni, analisi, dibattiti armate di grancassa: l’eliminazione negli ottavi di Champions League è costata la panchina della Juventus a Maurizio Sarri, sostituito in poche ore da Andrea Pirlo. La fine di un amore mai nato tra l’allenatore e la «Vecchia Signora» del calcio italico, il tramonto del «sarrismo» in bianco nero mai sorto.

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Al di là di ogni cortina fumogena, del diluvio di entusiasmo social e dell’esaltazione su buona parte della stampa sportiva, una successione di avvenimenti che lascia più di qualche dubbio. La Juventus ha vinto quest’estate il suo nono scudetto di fila e questo ciclo prima o poi dovrà finire. Quel giorno si avvicina? Quanti passi sono già avvenuti, quanti in divenire e quanti potrebbero mancare? Non sono domande banali e buttate lì perché quanto accaduto in questi giorni e gli ultimi campionati dovrebbero ampiamente destarle.

Per i contorti sentieri del dio eupalla al primo game over si era avvicinato proprio Sarri, due campionati fa ancora alla guida del Napoli. La squadra partenopea era a ridosso della posizione di vertice bianconera ma il calendario appariva più favorevole e i bianconeri quasi alle corde, poi come tutti sappiamo arrivò la sconfitta con la Fiorentina, la Juventus non uscì ammaccata da qualche incontro come si poteva pensare e l’epilogo fu lo stesso degli anni precedenti.

L’ultimo campionato si è concluso con l’Inter di Conte ad un solo punto di distacco, Atalanta e Lazio a soli cinque punti. Una Lazio che, prima del crollo post lockdown, era la squadra più in forma ed attrezzata e lo scudetto non era solo un sogno proibito, un’Atalanta che se non fosse stato per lo «scotto» dell’esordio assoluto in Champions League avrebbe viaggiato su ritmi ancora più alti e da record di quelli avuti. Senza dimenticare le evoluzioni di Milan e Napoli, rinati con Pioli e Gattuso e nelle ultime settimane tra le più in forma. Ripartite dopo aver archiviato le «rivoluzioni possibili» di Ancelotti e Giampaolo e l’arrivo di due allenatori che, senza proclami e grancasse, hanno semplicemente lavorato a testa china, hanno lasciato «parlare» il campo e ascoltato le esigenze e qualità delle proprie rose.

Nelle ultime settimane c’era chi ipotizzava che la frenata juventina, con una media punti quasi da bassa classifica, fosse figlia di disattenzioni, di piedi ormai sollevati dall’accelleratore (ammesso, e nei fatti non concesso, che quest’anno e nei precedenti abbiano spinto mai con velocità da bolidi di Formula1) in vista della Champions League. Il campo ha squarciato ogni velo, smontato ogni chiacchiera e mostrato la verità. Un dato su tutti è emblematico: la Juventus che ha battuto 2-1 il Lione è stata nettamente inferiore, ha giocato (ammesso, e nei fatti non concesso, che si possa definire gioco quello visto in tutti i novanta minuti) con molta meno grinta e benzina della squadra di Gattuso battuta 3-1 dal Barcellona.

Al Camp Nou abbiamo visto una squadra che ha giocato a viso aperto, che ha aggredito e addirittura schiacciato in vari momenti dell’incontro Messi (cioè non uno qualsiasi …) e compagni, che non ha mai mollato fino alla fine, anche quando il destino della qualificazione appariva segnato. Il giorno prima ritmi bassi, molti calciatori solo fisicamente in campo, zero gioco e ancor meno idee. È in realtà la storia degli ultimi campionati di Allegri e l’unico dell’ex comandante del «sarrismo», senza gioia e rivoluzione nelle lande piemontesi: partite senza gioco, avversari di ogni livello che hanno messo in netta difficoltà, le figurine estive che si squagliavano sul campo, e il dubbio che alla fine di ogni campionato si riproponeva sempre: aveva vinto la Juventus o perso le altre (Roma e Napoli su tutte)? Non è un esercizio d’italiano o una domanda retorica: abbiamo sempre visto una squadra che giocava meglio (anzi, che spesso giocava al contrario dei bianconeri), che metteva pressione ad una squadra che puntualmente sbandava e andava in apnea ma che – a non molte partite dalla fine – mollava e crollava.

C’è un mito che resiste di questo ciclo, e persino in questi giorni opinionisti e giornalisti sportivi lo hanno riproposto: la Juventus è nettamente superiore, quasi una squadra di marziani rispetto alle altre, e ha una panchina lunga piena di fenomeni. I fatti sono che la Juventus è tra le squadre più «anziane» d’Europa, che diversi calciatori sono ormai sul viale del tramonto e di altri (Bonucci e Pjanic su tutti) si è ormai acclarato (a furia di pessime partite e clamorosi errori)  sono eccessivamente esaltati e sopravvalutati, molti sono stati relegati in ruoli non propri e nel 4-3-3 altri ruoli sono mancati spesso (vedi terzini) di interpreti. Passati Vidal, Pogba e Pirlo – amalgama di interpretazioni e ruoli diversi integrati tra loro – il centrocampo bianconero è stato sempre più lacunoso e povero. E senza la trasformazione di esterno alto a sinistra di Mandzukic grinta e polmoni neanche al mercato di Porta Palazzo li si trovava.

Arriva Pirlo e tramonta Sarri, si chiude così una stagione avara di autentiche soddisfazioni e senza aver mai mostrato nessun reparto in forma, grande gioco, record negativo di sconfitte e difesa fragile. Arriva l’ex campione del mondo, protagonista di vari trionfi di questo ciclo juventino da calciatore ma senza nessuna esperienza da allenatore, qualche retroscena descrive Pirlo come possibile traghettatore in vista dell’arrivo l’anno prossimo del ct della Nazionale Roberto Mancini, e il pensiero corre all’ultimo precedente simile: Ciro Ferrara, ad ottobre in testa alla classifica con le grancasse che già urlavano «la Juventus ha ucciso il campionato, lo scudetto è suo» e il gennaio successivo ingloriosamente tramontato. Ferrara era stato da calciatore colonna di tante vittorie juventine e, anche nel suo caso, la sagoma di un commissario tecnico – in quel caso Marcello Lippi – si stagliava dietro di lui.

È finita una stagione tribolata, deludente, forse mai iniziata. Andrea Agnelli diciannove ore dopo l’eliminazione aveva già esonerato Sarri e presentato Pirlo, una rapidissima prova di forza. L’alba mancata, ormai oltre dodici mesi fa, fu costellata da settimane in incertezza su chi scegliere e alla fine arrivò quella che apparve una seconda se non terza scelta, pochissimi calciatori (senza entusiasmare nessuno) arrivarono dopo mesi di estenuanti attese, vari calciatori erano in procinto di essere venduti ma rimanevano a Torino. Dybala tra questi, ed è stato il migliore insieme a Ronaldo (complimenti a chi voleva venderlo!), Emre Can e Mandzukic sono stati svenduti mesi dopo, altri come Rugani sono rimasti a Torino, per avere un sussulto è dovuto tornare Buffon (per la serie, costruiamo il futuro) e l’operazione più rilevante fu lo scambio Cancelo–Danilo. Su chi ha fatto l’affare non c’è neanche bisogno di soffermarsi …

Tra pochissime settimane ripartirà il campionato, il raduno è questione di giorni, il mercato finora si è basato su trattative lunghissime e ad oggi inconcludenti per calciatori scelti da Sarri (ed infatti Milik appare già vicino a sfumare) mentre altri – probabilmente proprio per accontentare i desiderata tattici dell’ex comandante – Paratici se li è lasciati ormai praticamente sfilare come Tonali e Chiesa. Il bilancio soffre galleggiando quasi al limite del fair play finanziario, Ronaldo ha portato incassi nettamente inferiori a quanto si poteva prospettare, il monte ingaggi è altissimo e sono sempre più i ruoli che mancano di interpreti adeguati. E, dopo l’addio di Marotta (sulle cui motivazioni molto dovrebbero raccontare e spiegare), il mercato è stato costellato da lentezze, poche e confuse idee e – appunto – finanze che non permettono investimenti faraonici.

È arrivato Pirlo, una scommessa con tanti dubbi e interrogativi, ma i nodi che stanno arrivando al pettine aumentano sempre più. E la soluzione per districarli appare sempre più complicata. I marziani sono sempre più sulla terra, la rosa attrezzata e lunga è sempre più corta e impoverita, l’età avanza e il ricambio non c’è mai stato. Nel calcio tutto può accadere e il dio eupalla rovescia destini, troni e dominazioni. Ma il campo non mente e i fatti sono evidenti e davanti a tutti. Il calcio non si gioca con le chiacchiere e i proclami, con gli entusiasmi social e le grancasse. La domanda, davanti a clamorosi errori gestionali, a piani che dovevano essere trionfali ma sono caduti apparendo arroganti e vuoti, all’affanno (homo faber fortunae suae mai validissimo come in questo caso) sempre montante, ad altre società con le idee sicuramente più chiare, lineari e in rinforzo, dubbi, interrogativi e perplessità ci sia consentito averne in abbondanza…   

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2020-08-10 12:14:31

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Vicedirettore WordNews.it - È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie. Collaboratore della redazione abruzzese di Pressenza e di TeleJato.it. Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani. Per contatti: redazione@wordnews.it

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