Nel 2022 le campagne di comunicazione sui fondi europei hanno subito una mutazione evidente. Non più (solo) rassicurazione, non più (solo) storytelling. Si è passati al branding politico. I fondi strutturali – FESR, Fondo di Coesione, React-EU – sono diventati strumenti di legittimazione, spot per amministrazioni regionali, propellente da campagna elettorale.
Slogan come “Qui l’Europa c’è”, “Fondi europei, fatti che parlano” o “La Regione che investe sul futuro” campeggiano ovunque. Ma la domanda resta sospesa: dove finisce la comunicazione istituzionale e dove inizia la propaganda?
In Emilia-Romagna, la campagna “Una Regione in cammino” compare nei break pubblicitari prima dei telegiornali. In Calabria, la Presidente in carica viene ripresa tra i cantieri con un casco giallo in mano e lo sfondo blu della bandiera europea. In Sicilia, un video mostra droni che sorvolano strade asfaltate e porti restaurati: musica epica, immagini mozzafiato e nessuna informazione utile per accedere a un bando.
Il problema non è solo il tono o la scenografia, ma l’assenza totale di call to action concrete, processi partecipativi, trasparenza nei criteri di selezione.
Nel 2022 ci si aspettava un salto di qualità. Invece, la comunicazione dei fondi ha continuato a rivolgersi al cittadino come elettore, non come parte attiva della programmazione. Aumentano gli spot, ma nessuno sa davvero dove finiscono i soldi. Gli open data sono spesso obsoleti o incompleti. I siti regionali contengono vetrine, ma raramente mappe interattive, report di impatto o feedback pubblici.
Si comunica per mostrare, non per rendere conto.
Non è un caso che nel 2022 – anno di elezioni politiche – molti contenuti ufficiali siano stati rilanciati da candidati sui propri profili personali. In certi casi, addirittura, con loghi di partito accanto a quelli dell’UE. Un cortocircuito pericoloso, che viola lo spirito dei regolamenti europei e svilisce il valore della comunicazione pubblica.
La Commissione UE ha più volte raccomandato agli Stati membri di evitare la personalizzazione eccessiva, ma l’Italia continua a fare orecchie da mercante.
Nel frattempo, la nuova programmazione 2021-2027 è in fase avanzata. Ma anche in questo caso, poche Regioni hanno avviato campagne informative sui nuovi obiettivi, le priorità tematiche, i bandi in arrivo. La comunicazione rimane legata al passato – cioè ai progetti già conclusi – e al potere, cioè a chi ne trae vantaggio visivo.
La comunicazione sui fondi europei dovrebbe servire a rendere la spesa pubblica accessibile, comprensibile e condivisa. Ma oggi, troppo spesso, serve a rafforzare chi governa, non chi partecipa. A mostrare ciò che “è stato fatto”, non a coinvolgere su ciò che si può fare.
Se vogliamo davvero usare i fondi come leva di trasformazione, dobbiamo riconoscere la differenza tra una pubblicità e una politica pubblica. Perché quando la comunicazione diventa propaganda, non resta che il silenzio di chi non ha voce.





