Venerdì 25 maggio il nostro direttore Paolo De Chiara, insieme a Pino Cassata (Responsabile Scuole e Università di Dioghenes APS e coordinatore delle Agende Rosse di Rozzano e dintorni), illustrerà la vera storia di Lea Garofalo, la fimmina calabrese massacrata dalla schifosa 'ndrangheta nel novembre del 2009 a Milano.
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Questa è la storia di Lea Garofalo, la donna-coraggio che si è ribellata alla ‘ndrangheta, che ha tagliato i ponti con la criminalità organizzata. Nata in una famiglia mafiosa, ha visto morire suo padre, suo fratello, i suoi cugini, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi conoscenti. Un vero e proprio sterminio compiuto da uomini senza cuore, attaccati al potere e illusi dal falso rispetto della prepotenza criminale.
Lea ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino: come tante donne, ha subìto la violenza brutale della mafia calabrese. Ha denunciato quello che ha visto, quello che ha sentito: una lunga serie di omicidi, droga, usura, minacce, violenze di ogni tipo. Ha raccontato la ‘ndrangheta che uccide, che fa affari, che fa schifo! È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa, che non perdona il tradimento – soprattutto – di una fimmina. A 36 anni è stata rapita a Milano per ordine del suo ex compagno, dopo un precedente tentativo di sequestro in Molise, a Campobasso.
La sua colpa? Voler cambiare vita, insieme a Denise. Per la figlia si è messa contro il convivente, i parenti, il fratello Floriano.
In questo Paese «senza memoria» lo Stato dovrebbe vergognarsi per come ha trattato e continua a trattare questi cittadini onesti, che hanno semplicemente fatto il proprio dovere. Gli esempi non possono essere accatastati.Devono poter sbocciare come candide rose, per inebriare le nostre menti delle loro passioni, della loro forza e del loro immenso coraggio. Senza dimenticare i familiari delle vittime, nemmeno loro possono essere lasciati soli.
Le mafie, sino a oggi, hanno ucciso più di 150 donne. Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare. Per i loro legami secolari con la politica e le Istituzioni. Con Lea e con Denise non hanno potuto nulla.
È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa.
“Prima di combattere la mafia, devi farti un esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici.
La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi”.
Rita Atria
Lea Garofalo è nata in Calabria, a Petilia Policastro il 24 aprile 1974, è morta il 24 novembre 2009 a Milano. Uccisa, strangolata e poi bruciata dal clan ‘ndranghetista capeggiato da Carlo Cosco, suo compagno e padre di sua figlia Denise, dall’omertà e dalla solitudine. La morte di Lea non ha sorpreso nessuno, tutti sapevano che sarebbe accaduto, tutti sapevano anni prima della sua morte che Lea era stata condannata. La morte di Lea a distanza di anni è diventata un grido e un inno alla giustizia, ma doveva essere la sua vita a gridare, non la sua morte.
Lea è una testimone, e la scelta delle parole non è mai stata così importante. Lei che ha lottato tutta la vita contro il sistema mafioso veniva chiamata negli atti ufficiali “collaboratrice di giustizia” al pari dei pentiti di mafia che per la mafia però hanno vissuto e operato. Lea è una testimone di ciò che non deve essere dimenticato: il coraggio della sua vita, la forza della sua voce, la passione nel suo essere madre, la costanza con cui ha sempre detto no.
Quando Lea Garofalo, figlia scomoda della 'ndrangheta, “fimmina” ribelle e forte, decide di rischiare la sua stessa vita per uscire dal giogo della violenza del padre, del fratello, del compagno, tutti 'ndranghetisti riconosciuti, la giustizia ascolta ma non agisce e Lea sperimenta per la prima volta la vera solitudine.
«Lea in vita si è sentita “una giovane madre disperata”, stanca di chiedere aiuto, di chiedere protezione».
A raccontarlo è Paolo De Chiara, giornalista e autore del libro Una femmina calabrese, così Lea Garofalo sfidò la 'ndrangheta edito da Bonfirraro e arricchito dalla prefazione del magistrato Sebastiano Ardita e dalla postfazione del giornalista Cesare Giuzzi.
«Le mafie, sino a oggi, hanno ucciso più di 150 donne», prosegue De Chiara, «Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare».
L’ambiente mafioso è brutale, presuntuoso e non risparmia nessuno, non prevede affetto, rispetto o onore di alcun tipo. Questo è stato il mondo in cui Lea Garofalo ha vissuto dalla nascita e che ha subìto fino alla sua morte. Spiega il magistrato Ardita, «In questo racconto crudo, completo, reale l’autore non fa sconti a quanti non hanno saputo o voluto comprendere l’importanza strategica della collaborazione di Lea, trincerandosi dietro la burocrazia e la incoerenza del sistema normativo».
Lea Garofalo ci costringe ad adottare uno sguardo nuovo sulla 'ndrangheta e la sua collocazione territoriale, le sue ramificazioni, sostenute da legami familiari e patti suggellati col sangue sono ovunque. Quella di Lea «È una storia di Calabria, ma è anche la storia di Milano», spiega il giornalista Cesare Giuzzi. «Dove ogni elemento è stato, in qualche modo, concausa e corresponsabile dell’assassinio di Lea, testimone di giustizia. La storia di Lea è un buco nero. Per lei, per il coraggio di sua figlia Denise, per chi doveva proteggerle e invece non l’ha fatto. Un buco nero per lo Stato e le sue istituzioni.».
“La mafia non esiste” sostengono alcuni, ma sappiamo quanto questa dichiarazione sia non solo falsa ma anche violenta. «La mafia esiste e uccide, soprattutto le donne», dichiara l’editore Salvo Bonfirraro, «Donne come Lea, una donna sola, vittima delle circostanze, vittima del sistema criminale che non ammette e non consente opposizioni e che elimina ogni ostacolo alla sua ascesa».
Una donna il cui grido è stato afono finché viva, una donna che solo la morte ha reso credibile. Un passo indietro. Ancora una volta la legge è un passo indietro rispetto alle mafie e nella distanza tra la legge e la criminalità scie di corpi di innocenti, donne e bambini.
Lea, la donna coraggio, ha parlato, ha denunciato e per le mafie questo è un punto di non ritorno. Perché è su questo che si regge il gioco della criminalità organizzata, è su questo che la mafia, la camorra, la 'ndrangheta si fondano: il silenzio. Un silenzio fatto di voci piccole, famiglie, parenti, amici, testimoni casuali, e voci grandi e pesanti, lo Stato, la Legge, la Giustizia.
Ecco perché l’Associazione Antimafie e Antiusura Dioghenes APS ha deciso di istituire, con il contributo della testata giornalistica WordNews.it, il primo PREMIO NAZIONALE Lea Garofalo con cui si intende valorizzare, attraverso le competenze delle scuole italiane, i temi legati all’educazione alla legalità, alla inclusione sociale e culturale.
Paolo De Chiara giornalista, scrittore, sceneggiatore. È nato a Isernia, nel 1979. In Molise ha lavorato con gran parte degli organi di informazione (carta stampata e televisione), dirigendo riviste periodiche di informazione, cultura e politica. Si dedica con passione, a livello nazionale, alla diffusione della Cultura della Legalità.
Nel 2012 ha pubblicato Il Coraggio di dire No. Lea Garofalo, la donna che sfidò la ‘ndrangheta; nel 2013 Il Veleno del Molise. Trent’anni di omertà sui rifiuti tossici; nel 2014 Testimoni di Giustizia. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie; nel 2018 Io ho denunciato. La drammatica vicenda di un testimone di giustizia italiano .
Ha collaborato con Canal+ per la realizzazione del documentario Mafia: la trahison des femmes, Speciàl Investigation (MagnetoPresse). Il documentario è andato in onda in Francia nel 2014.
Premio Adriatico, «Un mare che unisce», Giornalista molisano dell’anno, Guardiagrele (Chieti), dicembre 2019. Premio Valarioti-Impastato, Rosarno (RC), maggio 2022. Premio Carlo Alberto Dalla Chiesa, San Pietro Apostolo (Catanzaro), agosto 2022.
Nel gennaio del 2020 ha fondato e dirige la testata giornalistica online WordNews.it. Nel settembre del 2022 ha fondato e presiede Dioghenes APS, Ass. Antimafie e Antiusura.
"La nostra storia è il futuro verso cui ci avviamo…”: questa la massima sposata dall’editore Salvo Bonfirraro, che ama guardare lontano, assecondando la sua innata e incondizionata curiosità, trasmessa anche al figlio Alberto, responsabile del settore marketing dell’azienda. Ogni volume – narrativa, poesia, saggistica, storia, letteratura straniera – pubblicato da questa casa editrice indipendente racchiude una scoperta, un’idea, un nuovo modo di guardare e valutare il mondo e il nostro tempo.
Il catalogo dell’editore può essere consultato in tutte le librerie d’Italia, negli store on-line e sul proprio sito http://www.bonfirraroeditore.it/
SCHEDA LIBRO
Titolo: Una fimmina calabrese. Così Lea Garofalo sfidò la Ndrangheta
Autore: Paolo De Chiara
Pagine: 304
Formato: 15,5×22 cm
Isbn: 9788862723039
Prezzo: 22,00 €
– Grande successo per la mostra dedicata a Lea Garofalo
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OMICIDIO LEA GAROFALO. Il suo assassino è ritornato per quattro ore in paese, a Pagliarelle (Crotone). Ufficialmente per fare visita a sua madre "moribonda". La donna, Piera Bongera, solo qualche giorno prima è stata vista arzilla e serena in un supermercato. Cosa hanno in mente questi criminali? Perchè sul territorio è rientrato anche il cugino Vito Cosco, implicato nella strage di Rozzano? Per l'avvocato Guarnera: «Hanno preparato l'ambiente per dare un segnale allo stesso ambiente».
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2023-05-25 12:22:03
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