La settimana scorsa è morta Sinead O Connor. In questi giorni abbiamo tantissimi coccodrilli e ricordi, commossi e tutti adoranti. Titoli come “la musica è in lutto”, “l’Irlanda piange la sua artista” e simili sono innumerevoli. Ma, dietro la patina della corsa a mettere il cappello sulla commozione e il dolore, si nasconde ben altro. Qualcosa di molto meno edificante e ben più basso. Ovvero l’ipocrisia di chi è sempre stato dal lato opposto del mondo della musica, e del mondo in generale, rispetto ad un’artista come Sinead. Lo ha denunciato sul suo sito web il cantautore e scrittore britannico Steven Patrick Morrisey.
«È stata abbandonata dalla sua etichetta dopo aver venduto 7 milioni di album. Ha perso la testa, sì, ma non è mai stata poco interessante, mai. Non aveva fatto niente di male. Aveva un’orgogliosa vulnerabilità e c’è un certo odio da parte dell’industria musicale per i cantanti che non si “adattano” (questo lo so fin troppo bene), e non vengono mai elogiati fino a quando arriva la morte – quando, alla fine, non possono rispondere.
La stampa etichetterà gli artisti come appestati a causa di ciò che nascondono e hanno chiamato Sinead triste, grassa, pazza oh ma non oggi! Gli amministratori delegati che avevano sfoggiato il loro sorriso più affascinante quando l’hanno rifiutata ora stanno facendo la fila per chiamarla “icona femminista”, e chiunque nell’ambiente musicale su Twitter si sta facendo sentire quando sei stato TU a convincere Sinead ad arrendersi … perché ha rifiutato di essere etichettata ed è stata degradata, come sono sempre degradati quei pochi che muovono il mondo. Alla fine, la O’Connor è caduta vittima della stessa sorte di Judy Garland, Whitney Houston, Amy Winehouse, Marilyn Monroe e Billie Holiday».
Questi alcuni stralci, tradotti in italiano, dell’atto d’accusa di Morrisey rispetto all’ipocrisia dilagante nel mondo del business discografico di questi giorni. Quel mondo che Sinead O Connor denunciò in vita e da cui si tenne ben lontana. Fu l’unica a rifiutare i Grammy Awards per protestare e rifiutarsi di partecipare al business delle multinazionali della musica.
Sinead O Connor da bambina aveva subito ripetuti abusi da parte della madre, raccontò che in casa c’era una “stanza della tortura” in cui veniva massacrata con violenza. Violenze che l’hanno segnata tutta la vita e l’hanno portata a diventare lei stessa voce dell’infanzia violentata e abusata, delle vittime degli abusi sessuali della Chiesa nella sua Irlanda.
Violenze nella Chiesa che conobbe anche personalmente: la madre la fece rinchiudere in un convento in cui venivano perpetrate da preti e suore violenze contro le «maddalene», ragazze che venivano sfruttate come schiave e venivano disprezzate, insultate e perseguitate perché erano state stuprate dal padre o da un parente.
All’apice della carriera, quando già il mondo aveva conosciuto la sua straordinaria arte e la sua voce risuonava in tutto il globo, Sinead O Connor ebbe il coraggio di denunciare questi abusi e come si stava cercando di insabbiare tutto. In Irlanda e non solo. Lo fece con un gesto coraggioso e che all’epoca le costò l’ostracismo, l’odio e la persecuzione, strappando durante un concerto in diretta la foto del Papa dell’epoca, Giovanni Paolo II.
Un gesto che fu definito blasfemo e, strumentalmente, non volle esser compreso da troppi. Cinque anni dopo in un’intervista cercò di chiarire le motivazioni di quel gesto: nulla di blasfemo – blasfemo dovrebbe esser considerato, Vangelo alla mano, chi «scandalizza» i più piccoli non chi li difende – e la rabbia, l’indignazione di una persona dalla grande fede e che proprio per questo non poteva rimanere in silenzio. Precorse i tempi perché pochi anni dopo le denunce e lo scandalo della pedofilia nella Chiesa dilagò, nove anni dopo il suo atto ribelle negli USA scoppiò lo scandalo Spotlight che travolse la diocesi di Boston.
Nel dicembre scorso un’inchiesta pubblicata dal quotidiano Domani firmata dalla giornalista Federica Tourn – qui è disponibile l’articolo integrale https://www.editorialedomani.it/fatti/pedofilia-nella-chiesa-il-caso-spotlight-continua-a-roma-ventanni-dopo-syshqsjm – svelò che un protagonista di Spotlight in Vaticano si ritrova vent’anni dopo al centro di un’altra vicenda di abusi.
Una vicenda che parte dalla Sicilia, giunge nel cuore del Vaticano e lambisce anche la provincia di Chieti in Abruzzo. Ne abbiamo scritto varie volte in questi mesi, Salvo Palazzolo su Repubblica e Federica Tourn in quest’articolo riportarono che tra i coinvolti c’è un “prete-preside di Chieti” coinvolto in video chat erotiche.
La provincia dalla Forte omertà
https://www.wordnews.it/la-provincia-dalla-forte-omerta
La provincia dalla Forte omertà sulle videochat pedofile
https://www.wordnews.it/la-forte-omerta-sulle-videochat-pedofile
Pedofilia, in provincia di Chieti due mesi di Forte omertà
https://www.wordnews.it/pedofilia-in-provincia-di-chieti-due-mesi-di-forte-omerta
Pensieri e parole: silenzi ed omissioni sulla pedofilia
https://www.wordnews.it/pensieri-e-parole-silenzi-ed-omissioni-sulla-pedofilia
Prostituzione e pedopornografia nella provincia sempre più dalla Forte omertà
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2023-08-03 16:23:45
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