Son forse un poeta? Son dunque un pittore? Un musico, allora? Agli interrogativi di senso che Aldo Palazzeschi si pone in “Chi sono”, alla ricerca di una sua identità di intellettuale agli albori del Novecento, Remo Anzovino potrebbe dare una risposta univoca: poeta-pittore-musico, in una mirabile fusione delle singole essenze.
La penna, la tavolozza, la tastiera sono strumenti alati della sua anima. Con la penna, egli scrive note di pensieri, idee, immagini; con la tavolozza dipinge i colori dei suoni e con la tastiera dà vita ad armonie celestiali.
E il suo ultimo album, dall’emblematico titolo Atelier, suggella questo sincretismo.
Per celebrare i suoi vent’anni di carriera musicale, il pianista e compositore friulano ha registrato, alla presenza di un pubblico elitario in due serate dall’atmosfera magica, il meglio del suo repertorio in un luogo anticonvenzionale e, per questo, unico, singolare, speciale: l’atelier di un artista italiano di fama internazionale, Giorgio Celiberti, nella città di Udine.
Di qui la pregnante significatività del titolo, già di per sé un manifesto programmatico. Atelier vuole essere un omaggio alla musica e all’arte visiva insieme. Vedere la musica e sentire i colori: le sinfonie cromatiche di Anzovino fanno del connubio Musica-Arte un modus vivendi oltre che operandi.
Due linguaggi diversi eppure così simili che, attraverso sottili effluvi, legano tra loro in maniera indissolubile due mondi creativi.
È sinestesia: le vibrazioni dei suoni diventano colori e in questi colori si vedono tutte le sfumature della vita, che a volte ci sembra di vivere solo come un grande mosaico di tessere grigie, tessere sbiadite e tessere nere.
Un accordo maggiore di Sol è di un rosso intenso, quello dei cuori che campeggiano in “Emozioni d’amore” del maestro Giorgio Celiberti, l’opera originale del 1994 che arricchisce la copertina dell’album stesso.
Atelier si presenta come una silloge rapsodica della carriera ventennale di Remo Anzovino.
L’album contiene brani iconici del suo percorso artistico – dalle hits di album come Nocturne e Don’t forget to fly alle pagine più popolari delle colonne sonore per i grandi film d’Arte, impreziosite dal brano inedito Chaplin – in una veste rivisitata per piano solo, laddove la novitas di soluzioni mature, con il valore aggiunto della voce, di suoni naturali e di forme espressive originali, si coniuga alla soliditas dell’indiscusso talento.
Un Atelier di emozioni fatte di un’armonia sinestetica di colori, echi, suoni.
Ventuno scorci di un quadro – Chaplin, Tabù, Deriva, Natural mind, Irenelle, On a tightrope, L’immagine ritrovata, Yo Te Cielo (Canción Para Frida), Following Light, Life, Sant’Ivo alla Sapienza, Vincent, Avec ma Nymphe, Les jours perdus, Galilei, Estasi, Nocturne in Tokyo, Istanbul, Igloo, Metropolitan, Hallelujah – attraverso cui Anzovino mette una lente davanti al suo cuore per farlo vedere alla gente, il suo pubblico sensibile che, lasciandosi ammaliare dalla soavità delle melodie, quel cuore lo sente palpitare degli stessi timori, paure, delle medesime gioie. Dagli spartiti di Anzovino escono storie in cui ci si riconosce, ci si immedesima, ci si proietta, con tutta la nostra fragilità di uomini e donne e, parimenti, con tutta la nostra forza di esseri straordinari, in un incessante altalenare tra le profondità degli abissi e le sommità delle vette.
“L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima”. Ciò che Wassily Kandinsky afferma in uno degli scritti più singolari del ‘900, intitolato “Lo spirituale nell’arte”, diventa una verità incontrovertibile se riferita al pianoforte-anima di Anzovino.
Toccando questo o quel tasto, la mano dell’artista fa vibrare l’anima di chi ascolta la sua musica, facendolo inabissare nelle più tetre viscere della terra o facendolo innalzare verso le più eccelse e fulgide altezze del cielo.
Le foto sono state gentilmente concesse da Paolo Grasso.