Il 19 marzo 2025 resterà impresso come il giorno in cui Giorgia Meloni ha ufficialmente dichiarato guerra alla memoria storica dell’Europa. Di fronte alla Camera, la Premier ha pronunciato parole che suonano come una frattura netta con il pensiero che ha ispirato l’Unione Europea: “Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”, riferendosi al Manifesto di Ventotene.
Uno strappo premeditato, uno sfregio alla storia e un’affermazione che cela, neanche troppo velatamente, un’idea di Europa diversa, più nazionalista, più chiusa, più autoritaria. Eppure, quel Manifesto – redatto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941 mentre erano prigionieri del fascismo – è uno dei documenti più illuminanti della storia moderna. Un testo che immagina un’Europa unita per evitare il ripetersi della barbarie della guerra e della dittatura. Ma Meloni, con la sua uscita, ci dice chiaramente che quella visione non è la sua.
Ignoranza o progetto politico?
La Premier si è affrettata a difendersi dalle polemiche, sostenendo di aver “solo letto il testo” e di “non aver distorto il senso”. Un goffo tentativo di normalizzare una frase che invece racchiude tutta la sua ideologia. Meloni ha infatti sottolineato che il Manifesto conteneva idee “socialiste e antidemocratiche”, un’affermazione che mostra una lettura distorta e strumentale del testo.
In realtà, il Manifesto di Ventotene è un atto di accusa contro il nazionalismo e il totalitarismo, le stesse forze che hanno insanguinato l’Europa. Il sogno di Spinelli e Rossi era un’Europa federale, basata sulla democrazia, sulla giustizia sociale e sulla cooperazione internazionale. Ma è proprio questo che Meloni e la destra sovranista rifiutano: un’Europa che non sia solo un mercato economico, ma un’unione politica fondata su valori comuni.
Le sue parole non sono un caso, né una gaffe, ma un’ulteriore conferma della sua visione politica: un’Europa di stati-nazione, chiusa, conservatrice e priva di un’identità comunitaria forte. È la stessa visione che la accomuna agli Orban, ai Le Pen e agli altri leader sovranisti, il cui obiettivo è demolire l’idea di un’Europa solidale e progressista per sostituirla con un’alleanza di nazionalismi autoreferenziali.
Una Premier fuori dalla storia
Meloni non è nuova a queste uscite. Dalla sua retorica “Dio, patria, famiglia” alla sua ossessione per il “ritorno alla sovranità nazionale”, la sua agenda politica è un continuo tentativo di smantellare decenni di progresso democratico. Il suo problema con Ventotene non è una presunta vena socialista del Manifesto, ma il suo messaggio di integrazione e solidarietà tra popoli, concetti che il nazionalismo meloniano non può accettare.
Eppure, l’Unione Europea – pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni – ha garantito il più lungo periodo di pace della storia del continente. Ha permesso la crescita di democrazie stabili, ha favorito l’integrazione economica e ha impedito il ritorno di totalitarismi. Se oggi Meloni può parlare in Parlamento senza rischiare l’arresto, è anche grazie all’Europa nata da Ventotene.
Ma la Premier vuole riscrivere la storia a suo piacimento, distorcendo fatti e significati per costruire un’Europa a sua immagine e somiglianza: un’Europa che guarda al passato con nostalgia reazionaria, invece che al futuro con spirito innovativo.
La reazione delle opposizioni: troppo poco, troppo tardi?
Dopo le parole della Premier, in Aula si è scatenato il caos. Le opposizioni hanno protestato, le urla hanno costretto il Presidente della Camera a sospendere la seduta, e da più parti sono arrivate accuse di “oltraggio alla memoria europea”. Elly Schlein ha parlato di un insulto a chi ha combattuto contro fascismo e nazismo, mentre Giuseppe Conte ha definito le parole di Meloni “un’ulteriore conferma della sua natura sovranista e antieuropeista”.
Ma basta questo? Le opposizioni si indignano, ma troppo spesso non sono state capaci di contrastare davvero l’egemonia culturale della destra. Per anni, mentre Meloni e i suoi alleati costruivano una narrazione sovranista, il centrosinistra si è rifugiato in una difesa passiva dell’Europa, senza mai proporre un’alternativa forte e chiara.
Ora che Meloni ha gettato la maschera, è il momento di alzare la voce. Non basta dire che le sue parole sono sbagliate: bisogna rilanciare il progetto di un’Europa più equa, più democratica, più sociale. Perché il problema non è solo che Meloni nega Ventotene. Il problema è che se non si contrasta questa deriva, l’Europa di Ventotene rischia di scomparire davvero.
L’Europa che vogliamo
Le parole di Giorgia Meloni su Ventotene non sono un dettaglio. Sono il sintomo di un’idea di Europa che nega le sue radici democratiche, che respinge la cooperazione e che guarda con sospetto al concetto stesso di comunità sovranazionale.
Ma la storia insegna che l’alternativa al sogno europeo non è l’indipendenza e la sovranità: è il ritorno ai nazionalismi, ai conflitti, alle divisioni. È il ritorno a un mondo in cui la forza conta più della diplomazia, in cui le crisi non si risolvono con il dialogo ma con lo scontro.
Se Meloni rifiuta l’Europa di Ventotene, dobbiamo chiederci: che Europa vuole? E soprattutto, vogliamo lasciarle il compito di costruirla a sua immagine e somiglianza?
La risposta non può essere il silenzio.
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