La Francia si trova al centro di un vero e proprio sconvolgimento politico dopo che Marine Le Pen, leader del partito di estrema destra Rassemblement National (RN), è stata condannata dal Tribunale Correzionale di Parigi per appropriazione indebita di fondi pubblici. La sentenza, che prevede quattro anni di reclusione (di cui due da scontare con il braccialetto elettronico), una multa di 100.000 euro e soprattutto l’ineleggibilità per cinque anni, mette seriamente a rischio il futuro politico di una delle figure più influenti della destra sovranista europea.
Le indagini hanno rivelato un sistema ben strutturato attraverso il quale Le Pen e altri otto eurodeputati del suo partito avrebbero dirottato circa 2,9 milioni di euro destinati agli assistenti parlamentari dell’Unione Europea, usandoli invece per finanziare le attività del RN. Secondo la presidente del tribunale, Le Pen non solo era consapevole del sistema, ma ne era il fulcro fin dal 2009. La sua leadership, dunque, non si sarebbe limitata alla guida politica ma avrebbe anche favorito una gestione finanziaria opaca, sfruttando i fondi pubblici per consolidare la struttura del suo partito.
La condanna non riguarda solo un presunto abuso di denaro pubblico ma colpisce direttamente la credibilità politica di un movimento che ha sempre fatto della lotta contro la corruzione delle “élite” il proprio cavallo di battaglia. Proprio qui emerge il primo grande paradosso: la destra sovranista si è spesso presentata come alternativa morale a quella che definisce la “classe politica corrotta” ma le recenti vicende dimostrano che anche chi si erge a paladino del popolo può cadere nelle dinamiche di potere che tanto critica.
L’estrema destra europea ha risposto compatta alla condanna di Le Pen, negando ogni illecito e parlando di una persecuzione politica orchestrata dalle istituzioni francesi ed europee. Matteo Salvini, leader della Lega, ha definito la sentenza un “attacco alla democrazia”, mentre Viktor Orbán, primo ministro ungherese, ha espresso il suo pieno sostegno a Le Pen, accusando la giustizia francese di essere “strumentalizzata dalla sinistra radicale”. Anche Elon Musk si è inserito nel dibattito, suggerendo che il sistema legale venga usato per mettere a tacere gli oppositori politici.
Questa strategia comunicativa segue un copione ormai consolidato: quando una figura di spicco dell’estrema destra è coinvolta in scandali giudiziari, si tenta immediatamente di spostare il discorso dalla questione legale a una narrativa di vittimismo. Il problema, tuttavia, è che questa reazione non risponde alla domanda fondamentale: se Le Pen fosse davvero innocente, su quali basi sarebbe stata condannata? Può un intero sistema giudiziario essere strumentalizzato senza alcuna evidenza concreta?
L’ineleggibilità di Marine Le Pen rappresenta un duro colpo per il Rassemblement National, specialmente in vista delle elezioni presidenziali del 2027. Fino ad oggi, la sua figura era considerata insostituibile, capace di attrarre un elettorato ampio grazie alla combinazione di nazionalismo, protezionismo economico e retorica anti-immigrazione. Ora, la palla passa a Jordan Bardella, giovane presidente del RN, che molti vedono come il possibile erede della leadership di Le Pen. Ma sarà davvero in grado di mantenere la coesione di un movimento così personalistico?
A livello europeo, questa vicenda potrebbe avere ripercussioni anche sui partiti sovranisti che si preparano alle elezioni europee. L’alleanza tra Le Pen, Salvini, Orbán e altri leader della destra radicale rischia di subire un contraccolpo, poiché la credibilità della loro narrativa anti-establishment si incrina di fronte a casi di corruzione interna.
Al di là delle divisioni politiche, la condanna di Le Pen pone una questione più ampia: le democrazie europee stanno dimostrando di essere in grado di resistere alle derive populiste e di applicare la legge in modo equo, indipendentemente dall’orientamento politico degli imputati. In un’epoca in cui la fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici, questa sentenza potrebbe rappresentare un segnale di tenuta del sistema giuridico.
Tuttavia, il rischio è che la narrazione del complotto alimentata dai sostenitori di Le Pen rafforzi ancora di più il sentimento di sfiducia nell’elettorato sovranista, aumentando la polarizzazione politica e rendendo sempre più difficile il dialogo democratico. Se la destra radicale riuscirà a trasformare questa vicenda in un simbolo di lotta contro l’“oppressione giudiziaria”, allora la condanna potrebbe paradossalmente rafforzarne il consenso.
La caduta di Marine Le Pen segna un momento cruciale per la politica francese ed europea. Se da un lato la sua condanna potrebbe ridurre l’influenza del Rassemblement National, dall’altro rischia di trasformarla in un martire del sovranismo, con conseguenze imprevedibili sulle dinamiche elettorali future.
Ciò che è certo è che la politica, ancora una volta, dimostra di essere imprevedibile: oggi sembra che l’era di Le Pen sia giunta al termine ma la storia ci ha insegnato che il populismo, più che un movimento, è uno stato d’animo che trova sempre nuovi leader pronti a cavalcarlo.