La voce tremante ma ferma di una madre. Le parole affilate di un fratello che non ha mai smesso di lottare. Le domande scomode di un giornalista che non accetta la versione ufficiale. L’ottava puntata del format “30 minuti con…”, condotto da Paolo De Chiara, è un pugno nello stomaco. Un’inchiesta civile in diretta, una radiografia crudele dello Stato che mente, devìa e insabbia.
In studio, come sempre, il collaboratore di WordNews.it Antonino Schilirò, che ha affiancato il direttore nella conduzione e nella ricostruzione dei fatti, contribuendo ad approfondire gli elementi più oscuri della vicenda.
Attilio Manca, urologo siciliano, fu trovato morto a Viterbo nel 2004 in circostanze che, a vent’anni di distanza, gridano vendetta. La versione ufficiale parla di overdose da eroina. Ma i dati, i riscontri, i referti, le testimonianze e – soprattutto – il corpo martoriato di Attilio raccontano un’altra verità.
“Attilio era un chirurgo mancino. Eppure le punture sul braccio sinistro sarebbero state fatte con la mano destra. Nessuna impronta sulle siringhe.
Naso fratturato.
Lividi.
Mani contratte. E ancora ci prendono in giro.”
Durante la puntata, Gianluca Manca, fratello di Attilio, ha ricostruito con precisione le tappe di una trattativa occulta tra Stato e mafia, i legami con la massoneria deviata, il ruolo ambiguo della Procura di Viterbo, la manipolazione dei fatti da parte dei media ufficiali e i silenzi di chi avrebbe dovuto indagare.
Le parole del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico, contenute nella relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia del 2018, sono inquietanti:
“Attilio fu assassinato da esponenti dei servizi segreti per aver curato Bernardo Provenzano.”
“L’omicidio fu mascherato da overdose e portato a termine da un killer noto come ‘faccia da mostro’.”
Ha partecipato anche la signora Manca, madre di Attilio, che ha lanciato un nuovo appello:
“Aspettiamo che la Procura di Roma apra finalmente un processo.
Dopo la relazione dell’Antimafia che parla chiaramente di omicidio, non ci sono più alibi.”
Una puntata intensa, in cui si legano le storie di Pasolini, Pantani e Manca: tre persone massacrate da un sistema che non perdona chi vede troppo.
Il giornalismo che emerge da questa trasmissione non è neutrale, ma schierato. Perché informare è resistere.
E resistere significa pretendere giustizia.
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