È il ricordo commosso e profondo del consigliere dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, Oreste Pivetta, quello che saluta l’amico Goffredo Fofi, scomparso a 88 anni. Un tributo affettuoso, ma anche lucido e appassionato, alla figura di un intellettuale irripetibile, che ha attraversato la seconda metà del Novecento e i primi decenni del nuovo secolo con lo sguardo critico e il passo militante.
Nato a Gubbio nel 1937, Goffredo Fofi è stato critico cinematografico e letterario, fondatore di riviste, educatore e scrittore, anima inquieta e coerente di una cultura fatta di pensiero e azione, di marginalità e di battaglie.
Come ricorda Oreste Pivetta, fu a soli diciotto anni, nella Sicilia poverissima degli anni ’50, che Fofi scelse la trincea: Cortile Cascino, quartiere miseria di Palermo, dove arrivò da maestro “sovversivo” con Danilo Dolci, per insegnare ai bambini senza ricevere stipendio. Per questo fu cacciato con un foglio di via. L’Unità gli dedicò un editoriale dal titolo emblematico: “Delitto d’alfabeto”.
Da Palermo a Torino, dove partecipò ai Quaderni rossi di Panzieri e firmò un’inchiesta sull’immigrazione meridionale, troppo critica verso la Fiat per essere accettata da Einaudi. Poi Napoli, con la fondazione della Mensa dei bambini proletari a Montesanto: istruzione e pane, cultura e dignità.
Pivetta ricorda con ammirazione il Fofi instancabile creatore di riviste: Quaderni piacentini, Ombre rosse, La terra vista dalla luna, Lo straniero, Gli Asini. Per lui le riviste erano strumenti di battaglia, piazze culturali, occasioni per fare comunità attorno alla critica e al confronto.
Con Franca Faldini, Fofi riscattò Totò dall’oblio della critica, lo raccontò nel libro Totò. L’uomo e la maschera. Scoprì e studiò Alberto Sordi, icona delle contraddizioni italiane. Per lui il cinema era linguaggio popolare, strumento politico, specchio delle debolezze del Paese.
La memoria di Pivetta tratteggia una vita fatta di relazioni significative, con Elsa Morante, Calvino, Pasolini (tra scontri e stima), Capitini, Langer, Fortini, Ciafaloni. Incontri che segnavano fasi, accendevano idee, animavano azioni.
Fofi scrisse per L’Unità, Avvenire, Internazionale, sempre con la voce di chi voleva farsi capire da tutti, di chi credeva che il sapere non dovesse mai essere esercizio elitario, ma trincea popolare, pensiero utile, arma di trasformazione.
Nel suo commiato, Oreste Pivetta ricorda l’amico con le parole che più lo rappresentano: “Contro la pubblicità, la vacua denuncia, il divertimento insulso, la superficialità…”. Perché capire significava fare. E Goffredo Fofi ha fatto, ogni giorno, ogni pagina, ogni battaglia.






