«È un volto che non ho mai potuto conoscere, ma che porto dentro ogni giorno». Con queste parole forti e commosse, Antonino Guglielmino, 22 anni, studente e lavoratore, affida alle istituzioni un appello che è insieme un grido e una richiesta di giustizia morale. Lo fa rivolgendosi direttamente al Sindaco di Catania, dopo l’ennesimo anniversario trascorso – il 27 luglio – nel silenzio dell’Amministrazione comunale: trentatré anni fa, nel 1992, veniva assassinato dalla mafia l’ispettore capo della Polizia di Stato Giovanni Lizzio, suo nonno.
Come ogni anno, familiari, cittadini e rappresentanti delle forze dell’ordine hanno ricordato la figura di Lizzio con una commemorazione davanti alla Questura. Ma da Palazzo degli Elefanti – denuncia Guglielmino – nessuna presenza, nessun messaggio, nessuna parola. «Nessun gesto istituzionale. Neanche un segno di vicinanza».
Un’assenza che brucia, tanto più se a essere ignorato è un uomo che ha pagato con la vita il proprio impegno per la legalità e la sicurezza di Catania. «Mio nonno è stato strappato alla sua famiglia da mani e menti criminali. Ha sacrificato la propria vita per la sua Catania, perché credeva in un futuro diverso, in una città migliore», scrive il giovane.
Dal 2017, Antonino Guglielmino ha fatto della memoria del nonno una missione. Insieme a quella di tante altre vittime di mafia, porta la sua storia nelle scuole, parlando ai coetanei, seminando consapevolezza, contro ogni rimozione e indifferenza. Ma l’inerzia delle istituzioni locali, che si sono succedute nel tempo, è la prova – dice – di un cortocircuito drammatico: «Parliamo tanto di educazione alla legalità, insegniamo ai giovani il valore della memoria, e poi dimentichiamo proprio coloro che hanno onorato Catania con il loro sacrificio».
L’assenza istituzionale appare tanto più grave alla luce della figura di Giovanni Lizzio: «Un cittadino catanese, un servitore dello Stato, un poliziotto che ha dato la vita per questa città». Eppure, anno dopo anno, nulla cambia. «Sembra che, con ogni nuovo mandato, si perda puntualmente la memoria di chi ha scritto pagine importanti della nostra storia cittadina», osserva amaramente il nipote.
A sostenere il suo appello, con forza e convinzione, è anche Giuseppe Trovato, attivista da anni impegnato nel contrasto alle mafie e nella promozione della cultura della legalità. «La memoria di Giovanni Lizzio non è solo un fatto privato – dichiara – ma un dovere collettivo. È inaccettabile che la sua città natale, quella per cui ha dato la vita, non trovi neanche il tempo o il modo di onorarlo degnamente. Il silenzio delle istituzioni è una seconda morte, una sconfitta morale per tutti noi».
Il sostegno dell’attivista rilancia con chiarezza la proposta implicita contenuta nella lettera: Catania deve fare di più. Non solo ricordare Lizzio con una cerimonia formale, ma restituirgli piena cittadinanza nella memoria civica, magari intitolandogli una via, una piazza, una scuola. E rendendo la sua storia parte viva e permanente del racconto pubblico della città.
Antonino, che non ha mai conosciuto suo nonno, ha solo una foto e un busto a cui aggrapparsi. Ma anche quella piccola immagine sulla parete del carcere di Piazza Lanza rischia di diventare un’icona muta, anonima, se non la si accompagna con parole, educazione, presenza.
«Le confesso, con sincerità e rispetto, la profonda delusione che provo – conclude – Perché la morte di mio nonno non può e non deve essere vana. Lui è caduto per una Catania migliore. È dovere di tutti noi – istituzioni comprese – non dimenticarlo».





