«Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti…». Antonio Gramsci
Auletta, 30 luglio 1861. Quando l’Italia uccise il Sud.
Non fu liberazione. Fu occupazione. Non fu unità. Fu sterminio. Oggi, 30 luglio 2025, ricorrono 163 anni dalla strage di Auletta, un eccidio che la retorica dell’Unità d’Italia ha sepolto sotto strati di celebrazioni ufficiali e omissioni storiche. Ma la verità brucia ancora, come bruciarono i corpi dei civili massacrati in quel maledetto giorno del 1861.
Due giorni prima, il 28 luglio, un gruppo di patrioti meridionali – quelli che la storiografia ufficiale ha sbrigativamente etichettato come “briganti” – entrò ad Auletta (in provincia di Salerno) accolto con entusiasmo dalla popolazione locale. La folla bruciò i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi. Una protesta contro l’annessione armata, contro un’unificazione imposta con la forza.
La risposta del neonato Stato italiano? Una rappresaglia feroce.
Il 30 luglio il Regio Esercito, supportato dalla legione ungherese, irruppe nel borgo e si scatenò con ferocia contro una popolazione inerme. Non trovando i resistenti, fuggiti sulle colline, si vendicarono sui civili.
Morirono in almeno 45, secondo le fonti locali. Ma i numeri potrebbero essere anche più alti. Tra le vittime:
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don Giuseppe Pucciarelli, parroco del paese
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quattro religiosi brutalmente pestati
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donne, bambini, anziani fucilati e derubati
Non fu una battaglia. Fu una strage punitiva. Un messaggio di terrore per tutti i paesi del Sud che avessero intenzione di ribellarsi all’occupazione piemontese.
L’altra faccia del Risorgimento: quella del sangue. L’Italia “una e indivisibile” nacque sul sangue del Sud. Come Auletta, anche Pontelandolfo e Casalduni – devastati e incendiati nell’agosto dello stesso anno – sono simboli di un genocidio culturale, politico e umano.
Le popolazioni meridionali non furono liberate. Furono conquistate, represse, zittite. Chi si oppose fu bollato come “delinquente”, “bandito”, “brigante”. Ma erano contadini, artigiani, preti, ex soldati borbonici, uomini e donne che difendevano la loro terra, la loro identità, la loro storia.
La storiografia ufficiale ha fatto di tutto per cancellare questi crimini. Ma la verità resiste, come la memoria dei martiri di Auletta. Non morirono “criminali”: morirono patrioti meridionali, eroi della resistenza contro una “unità” costruita con la baionetta.
Perché la storia scritta dai vincitori è spesso una bugia condivisa. Perché solo chi conosce davvero il passato può scegliere liberamente il futuro.
Perché la Campania, la Calabria, la Puglia, la Basilicata e la Sicilia meritano giustizia storica, non solo sussidi e compassione.
Auletta è un nome inciso nella pietra della vergogna nazionale. Un nome che dovrebbe comparire nei libri di scuola, nei programmi TV, nei discorsi ufficiali. E invece è stato silenziato.
Ma la memoria non muore. E chi oggi si batte per far luce su quella strage non fa revisionismo: fa resistenza alla menzogna.