“Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti…L’UNITÀ D’ITALIA non è avvenuta su basi di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno, nel rapporto territoriale città-campagna.Cioè, il Nord concretamente era una “piovra” che si è arricchita a spese del SUD e il suo incremento economico-industriale è stato in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale.L’Italia settentrionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole, riducendole a colonie di sfruttamento”.Antonio Gramsci
L’Unità d’Italia, celebrata come un momento epocale, è raccontata attraverso la lente della retorica patriottica. Dietro l’immagine di una nazione che si unisce pacificamente sotto un’unica bandiera, si celano eventi tragici che hanno segnato intere popolazioni, in particolare nel Sud Italia. Le stragi perpetrate dalle truppe sabaude durante il processo di unificazione restano ancora oggi un capitolo poco conosciuto della nostra storia.
Il Regno di Sardegna, sotto la guida dei Savoia, condusse l’unificazione italiana con una strategia militare spietata, specialmente contro il Meridione e i movimenti di resistenza locali. Tra gli episodi più sanguinosi:
La strage di Pontelandolfo e Casalduni (1861): rappresaglia ordinata dal generale Enrico Cialdini, vennero rasi al suolo i due paesi, con il massacro di centinaia di civili innocenti.
La strage di Bronte (1860): durante la spedizione dei Mille, l’esercito garibaldino represse nel sangue una rivolta contadina contro i latifondisti, con la fucilazione sommaria di decine di civili ordinata dal generale Nino Bixio.
Gli eccidi in Calabria e Basilicata: in numerosi centri abitati del Sud, le truppe sabaude misero in atto esecuzioni sommarie e incendi di villaggi sospettati di supportare il brigantaggio.
La strage di Gaeta (1861): dopo un lungo assedio, la fortezza borbonica cadde sotto il fuoco piemontese, causando numerose vittime civili e segnando la fine della resistenza borbonica.
La repressione dei legittimisti borbonici: chiunque fosse sospettato di simpatizzare per l’ex Regno delle Due Sicilie fu perseguitato, arrestato o fucilato senza processo.
L’Unità d’Italia ha dato origine alla Questione Meridionale, una problematica socio-economica e politica che affonda le radici proprio nel modo in cui il Sud fu annesso al nuovo Regno d’Italia. Il Meridione fu trattato come una terra conquistata, con un’economia sfruttata a vantaggio del Nord e senza alcuna reale integrazione nel nuovo sistema statale. Le politiche economiche e fiscali adottate dal governo unitario penalizzarono fortemente il Sud, causando il declino delle industrie locali, l’aumento della povertà e l’emigrazione di massa. La leva obbligatoria e la repressione del brigantaggio intensificarono il malcontento, trasformando il Mezzogiorno in un’area depressa e instabile. Fu proprio in seguito all’Unità d’Italia che iniziò il fenomeno dell’emigrazione di massa dal Sud verso le Americhe e il Nord Europa, spopolando interi territori e privando il Mezzogiorno delle sue forze produttive migliori.
Ancora oggi, la Questione Meridionale non è stata risolta: il divario economico tra Nord e Sud rimane elevato, con differenze significative in termini di infrastrutture, istruzione, occupazione e qualità della vita. Questo squilibrio affonda le sue radici nel periodo post-unitario e nella gestione politica che ha perpetuato lo sfruttamento del Sud anziché promuoverne uno sviluppo equo e sostenibile.
Un aspetto trascurato riguarda gli accordi internazionali che influenzarono negativamente il Mezzogiorno d’Italia. Durante il processo di unificazione, le grandi potenze europee, in particolare Inghilterra e Francia, avevano interessi strategici che favorivano il consolidamento di un governo filo-occidentale nel nuovo Regno d’Italia. L’Inghilterra, che aveva forti interessi economici e commerciali nel Mediterraneo, sostenne l’unificazione italiana in chiave anti-borbonica, favorendo i Savoia e garantendo loro aiuti diplomatici e logistici. In cambio, ottenne il controllo su importanti rotte commerciali e la possibilità di sfruttare il Sud come un mercato per le proprie merci, contribuendo alla distruzione dell’industria meridionale. La Francia di Napoleone III vide nell’Unità d’Italia un’opportunità per ridurre l’influenza austriaca nella penisola, ma al tempo stesso impedì la nascita di un Mezzogiorno autonomo, per evitare che potesse diventare una potenza economica indipendente.
Le politiche economiche post-unitarie furono pesantemente influenzate da accordi con le potenze europee che penalizzarono il Sud, trasformandolo in una zona di sfruttamento agricolo senza possibilità di sviluppo industriale.
Questi fattori contribuirono alla creazione di un’Italia spaccata in due, con un Nord in ascesa e un Sud relegato a una condizione di arretratezza, una condizione che ancora oggi non è stata completamente superata.
Antonio Gramsci, uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento (incarcerato e ucciso dal fascismo), analizzò a fondo la Questione Meridionale. Secondo Gramsci, l’unificazione italiana non avvenne come un processo di liberazione, ma come una conquista coloniale del Nord ai danni del Sud. Il nuovo Stato italiano mantenne le stesse dinamiche di sfruttamento feudale, senza attuare una reale modernizzazione del Mezzogiorno.
Gramsci evidenziò come i contadini meridionali furono trattati come “plebi” prive di diritti, represse con la violenza e mai integrate in un vero processo di sviluppo economico e sociale. La retorica dell’Unità servì a coprire il fatto che il Sud divenne una colonia interna, funzionale solo all’arricchimento delle classi dominanti del Nord.
La narrazione ufficiale dell’Unità d’Italia ha volutamente e a lungo ignorato queste stragi, dipingendo l’opposizione all’unificazione come semplice “brigantaggio”, un fenomeno criminale anziché una resistenza diffusa. Questo ha permesso di creare il mito di un’Italia unita e compatta, trascurando il dolore e le divisioni che il processo ha causato.
Uno degli strumenti più repressivi messi in atto dal nuovo Regno d’Italia per stroncare ogni resistenza nel Sud fu la Legge Pica, approvata nel 1863. Questa legge speciale introdusse misure eccezionali per la repressione del cosiddetto “brigantaggio”, autorizzando processi sommari, fucilazioni immediate e arresti indiscriminati.
La Legge Pica trasformò il Mezzogiorno in un territorio militarizzato, con un regime di occupazione che colpì indiscriminatamente intere comunità sospettate di proteggere i briganti. Le condanne avvenivano senza prove concrete e molte famiglie meridionali furono distrutte dall’inasprimento delle misure repressive.
Sebbene ufficialmente giustificata come una necessità per riportare l’ordine, la Legge Pica fu in realtà un’arma politica per eliminare qualsiasi dissenso e consolidare il potere sabaudo nel Sud. Il suo impatto fu devastante: migliaia di civili innocenti furono giustiziati o deportati, mentre la repressione contribuì ad acuire il divario tra Nord e Sud.
L’Unità d’Italia fu un percorso di sofferenza per molte comunità. Ricordare le stragi dei Savoia, la Questione Meridionale e gli accordi con le mafie e le potenze internazionali significa rendere giustizia alla memoria storica e promuovere un dibattito più aperto e sincero sul nostro passato. La storia non va riscritta, ma raccontata nella sua interezza, senza retorica e senza omissioni.
L’ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLE MAFIE ITALIANE. Un aspetto poco raccontato del processo di unificazione riguarda gli accordi tra Garibaldi, i Savoia e la mafia siciliana. La spedizione dei Mille non sarebbe riuscita senza l’appoggio della mafia locale, che garantì il successo della campagna militare in cambio di favori politici e concessioni territoriali.
SICILIA: per garantire il successo dello sbarco a Marsala nel 1860, i mafiosi locali si accordarono con gli emissari di Garibaldi per evitare resistenze e facilitare la presa della Sicilia. Una volta conquistata l’isola, molti esponenti mafiosi vennero ricompensati con incarichi pubblici e concessioni di potere.
CAMPANIA, L’accordo con la camorra napoletana: quando Garibaldi entrò a Napoli, trovò un’alleanza con i vertici della camorra, che garantirono un passaggio sicuro e il controllo dell’ordine pubblico in cambio di impunità e favori futuri. La nuova classe dirigente del Sud, fedele ai Savoia, tollerò e favorì la mafia come strumento di controllo sociale. Esistente ancora oggi.
IL FESTIVAL DELLA RETORICA NAZIONAL POPOLARE