C’è un volto ben noto alle forze dell’ordine, e non solo. Si chiama Damiano Romano, pluripregiudicato e figura di spicco nel sottobosco criminale vesuviano. È lui, in un video circolato nelle ultime ore, a dichiarare pubblicamente di aver posseduto un telefono cellulare durante la detenzione. Un’ammissione gravissima che dovrebbe far scattare immediatamente l’intervento degli organi preposti.
Ma Romano non è soltanto un volto da archivio giudiziario. È anche un soggetto attivo sul territorio, legato ai clan camorristici, e coinvolto in attività estorsive contro imprenditori e commercianti locali. Attraverso una ditta intestata alla moglie, impone la vendita di materiali per la ristorazione – carta e altri consumabili – in quello che sembra un chiaro esempio di racket mascherato da attività commerciale.
E non finisce qui. Romano è indicato – dalle nostre fonti – come uno degli autori materiali del brutale pestaggio avvenuto nei giorni scorsi a Somma Vesuviana, in via Aldo Moro, ai danni di Giovanni D’Avino, figlio dell’ex boss Fiore D’Avino e nipote del noto killer Luigi D’Avino, poi passato alla collaborazione con la giustizia.

Un’aggressione in pieno centro, in orario di massima visibilità, a pochi passi dall’attività dell’assessore alla legalità De Falco (abbiamo riprovato a sentire la sua versione, ma non risponde alle nostre telefonate). Una spedizione punitiva, una vera e propria azione camorristica, con modalità mafiose che lasciano poco spazio ai dubbi.
Abbiamo provato a sentire anche il sindaco di Somma Vesuviana, Salvatore Di Sarno. Non siamo tanto fortunati con questa amministrazione. Non risponde mai nessuno.
Eppure, Somma Vesuviana tace. I testimoni ci sono, i video anche, ma regna la paura. L’omertà è legge non scritta ma sempre più rispettata. Le famiglie coinvolte? Tutte legate direttamente o indirettamente a contesti camorristici, o parenti di figure già condannate per reati di mafia.
In una città dove regna l’omertà, è il testimone Gennaro Ciliberto a rompere il muro di gomma. Un atto di denuncia pubblica che chiama in causa non solo i criminali, ma anche lo Stato, le istituzioni, la società civile. Il suo coraggio pesa quanto un’inchiesta.
Di fronte a questi fatti, è urgente un intervento dei carabinieri. Non si può lasciare impunito un atto che riporta indietro il territorio, facendolo piombare negli anni bui della violenza imposta dai clan. La magistratura dovrà verificare i motivi per cui il figlio di un ex collaboratore di giustizia – tornato da anni nel suo luogo d’origine – sia potuto diventare bersaglio di una ritorsione mafiosa così efferata.
La legalità non può essere solo uno slogan da campagna elettorale. Serve una risposta decisa, rapida e visibile dello Stato.
Camorra a Somma Vesuviana, agguato al figlio di un ex boss: vendetta o avvertimento?





