Viviamo in un’epoca in cui la politica dell’immagine ha sostituito la politica delle idee.
Molti leader sanno che l’apparenza può aggirare la mente razionale e insinuarsi direttamente nell’inconscio collettivo. L’immagine visiva, a differenza delle parole, non si spiega: colpisce, seduce, persuade.
È un meccanismo antico, ma oggi portato alla perfezione: il potere della comunicazione visiva agisce come una musica — a volte allegra, a volte malinconica — capace di modificare gli stati d’animo di chi ascolta o guarda, senza che se ne accorga.
Basta un colore, una postura, un abbigliamento: se evocano un archetipo di potere o di carisma, la suggestione è fatta.
Quando Matteo Renzi si mostrava con la camicia arrotolata “alla Bob Kennedy”, voleva trasmettere l’idea di un riformatore giovane, americano, dinamico. E ci riuscì.
Giorgia Meloni, invece, ha saputo appropriarsi di simboli e immagini per costruire un’immagine di leadership solida e rassicurante: si è vestita come Ursula von der Leyen durante i meeting europei, ha scelto il bianco accanto a Papa Francesco, e oggi ripete le parole e le posture di Donald Trump come un’eco studiata.
È la comunicazione subliminale del potere, quella che ricalca miti e figure forti — da Evita Perón ai predicatori ultraconservatori americani — per mascherare il vuoto di idee.
Quando non si hanno visioni né capacità di governo, ci si rifugia nell’estetica e nella scenografia del comando.
La Lega è maestra in questo: ha idolatrato chiunque rappresentasse forza e autorità, da Putin a Erdogan, fino a Bolsonaro, oggi condannato per tentato golpe. E ora, nella disperazione simbolica, arriva perfino a richiamarsi al “martire” americano Kirk, un predicatore estremista ucciso da un folle.
Ma la verità è che la politica italiana è da tempo prigioniera di questa farsa visiva e amorale.
Destra e sinistra non bastano più come categorie interpretative. La vera linea di demarcazione non è ideologica, ma etica. Ciò che conta oggi sono i valori di riferimento, la coerenza e la qualità delle persone che aspirano a governare.
Invece, vediamo un panorama popolato da nullità furbe, corrotte, opportuniste, con alle spalle comunicatori subliminali che manipolano l’opinione pubblica.
È ora di dire basta. Di ribellarsi a questa politica dell’immagine, fatta di post, di slogan, di simboli copiati e di sorrisi in posa.
Serve un ritorno alla Politica vera, con la P maiuscola: quella che discute di valori, progetti e idee, non di look e citazioni.
E per farlo, prima di tutto, bisogna mandarli a casa. Tutti. Per sempre.