C’è una parola che Platone usa per definire la politica.
Una parola antica, dimenticata, ma più che mai necessaria in questo tempo di confusione, di rabbia e di smarrimento.
Quella parola è ἐπιμέλεια κοινή (epimeleia koinè).
Significa “cura comune”.
Nel Politico (276b), Platone scrive che la vera arte del politico è
“ἐπιμελεῖσθαι πάντων τῶν ἀνθρώπων”,
cioè
“avere cura di tutti gli uomini”.
Non comandare, non amministrare, non imporre.
Ma prendersi cura.
La politica come arte della cura
Per Platone, la politica non è l’arte del potere, ma l’arte della cura.
Una cura che non si esercita dall’alto, ma che si intreccia – come una tessitura, dice Platone – tra i fili diversi della comunità:
il potente e il fragile,
il maestro e l’allievo,
chi guida e chi è guidato.
La politica autentica è una tela di relazioni.
Non la gestione fredda di risorse e numeri, ma l’arte di intrecciare le differenze per costruire armonia.
Come un tessitore che unisce fili opposti per creare un tessuto solido, bello e umano.
Abbiamo dimenticato la parola “cura”
Oggi quella parola – cura – sembra scomparsa dal linguaggio di chi governa.
Abbiamo trasformato la politica in gestione, la scuola in burocrazia, la leadership in controllo.
Tutto è efficienza, calcolo, consenso.
Ma senza epimeleia, senza la tenerezza della cura, non c’è polis, non c’è comunità.
C’è solo un insieme di individui che sopravvivono gli uni accanto agli altri, senza legami.
Tornare a Platone: l’arte di avere cura
Forse dovremmo tornare a Platone.
Non per nostalgia, ma per necessità.
Per ricordarci che chi governa – un Paese, una scuola, un’azienda, perfino una famiglia – non è colui che comanda, ma colui che si prende cura.
Di ogni singola persona,
di ogni fragilità,
di ogni sogno che abita la comunità.
Perché la Politica, la Scuola, la Vita stessa dovrebbero essere questo:
un atto di cura condivisa,
una ἐπιμέλεια κοινή.
La cura come rivoluzione possibile
In un mondo che parla di efficienza, di potere e di profitto, parlare di cura è un atto rivoluzionario.
Significa riportare al centro l’essere umano e non la sua funzione.
Significa costruire comunità e non gerarchie.
Significa ricordare che la vera politica non divide, ma unisce.
E allora sì, forse la parola che può salvarci è proprio quella che avevamo dimenticato:
epimeleia koinè,
la cura comune,
la più antica, e la più umana, delle arti politiche.





