«C’è una crepa in ogni cosa e da lì entra la luce» canta Leonard Coen. E nelle vele della vita possono arrivare crepe, può rompersi qualcosa. Nelle crepe entra la luce. Quella della speranza, del non mollare, dell’esserci per se e per gli altri. Crepe da valorizzare, come ci insegna la tradizione giapponese. E da illuminare.
«Com’è profondo il mare» cantava Lucio Dalla, una profondità immensa, straordinaria. Come l’animo e il cuore di certe persone, profonde. Nelle profondità del mare si racconta che, anche nella più violenta tempesta, resistono intatti una bellezza mozzafiato, che rapisce, che rimane saldo. Nessuna tempesta può distruggerla, nulla di nulla. C’è ed è sempre pronta a splendere.
«Non può piovere per sempre» recita una delle più diffuse citazioni cinematografiche. Dietro ogni nuvola c’è il sole e ogni tempesta può avere la sua fine. Ci sono eventi che irrompono nella Storia e la segnano, la stravolgono per sempre. Accade anche nelle vite, irrompe quel che non ci si aspetta e la vita non sarà mai più la stessa. Ma resiste, non si arrende, continua a regalare una fantastica avventura come canta Fiorella Mannoia. Si cambia, recita sempre la cantautrice, ma si vive, si continua a vivere. E si rimane sempre persone, umanità, se stesse, senza essere cancellate.
L’anno scorso l’Ottobre Rosa a Vasto fu aperto con l’inaugurazione della mostra “Buonvento”. Le foto di Federica Anna Molfese ci hanno raccontato il vento impetuoso che è giunto nella sua vita e ci accompagnano come zefiri profondi. Inducendo alla riflessione, prendendo per mano e accompagnando come un vento nella profondità della personalità dell’artista rimettendo al centro la sua umanità, la sua arte, il racconto di una vita. Troppo spesso la lotta contro un tumore è rappresentata cancellando la persona, la sua umanità. Molfese non si racconta solo come una “malata”, non cancella se stessa, anzi riesce ad esprimersi e a trasmettere tutto quel che lei è. Una malattia non cancella l’umanità di una persona, non rende “non persone”, al contrario di come la narrazione egemone spesso rappresenta. Non si è solo “malati”, soggetti passivi senza più nessuna personalità, nessun pensiero, nessuna ricchezza, valore e talento, che non sia riconducibile al terribile co-inquilino.
Un anno dopo, nella stessa sala, seguendo un filo rosso (anzi, in questo caso, rosa) di impegno, sensibilità, vita, l’Ottobre Rosa viene chiuso da una nuova mostra. Si sono ritrovati alcuni dei protagonisti dell’anno scorso, altre compagne di viaggio si sono aggiunte.
I colori dell’arte femminile, le luci che accolgono e rapiscono nei quadri dell’arte femminile in mostra nella Sala Mattioli, le “Donne in Arte” accanto alle “Ferite” che animano gli spazi della doppia mostra a Vasto ce lo raccontano e lo testimoniano. È la sinfonia della doppia esposizione inaugurata venerdì scorso nella Sala Mattioli in corso De Parma e che rimarrà aperta fino al 15 novembre.
L’emozione può avere voce, la vita può vibrare così forte da suonare. Sul pentagramma della vita possono arrivare lacerazioni ma le sue note possono sorprendere e non interrompere melodie.
La doppia mostra “Donna in arte” e “Ferite” sintetizza perfettamente la melodia dell’Ottobre Rosa vastese, di questo pentagramma di impegno e cuore che anche quest’anno ci ha accompagnati, promosso dall’assessorato alle politiche sociali guidato dall’assessora Anna Bosco e varie associazioni. L’inaugurazione è stata animata da riflessioni e saluti dell’assessora Bosco, delle rappresentanze delle associazioni che hanno curato l’organizzazione e di alcune delle artiste in mostra.
«La mostra collettiva “La Donna in Arte” coordinata da Carlo Viggiano, Presidente dell’ ACM Vasto riunisce le opere delle artiste Annarita Angiolelli, Lorella Ragnatelli, Valeria Massari, Lisa Marfisi, Marinella Debbia, Elisa Lavazza, Grazia Barbieri, Lucyna Ewa Czub, Renata Massai, Giovanna Mattucci, Anna Molisani, Sara Quida e Alessandra D’Ortona, che attraverso tecniche e sensibilità diverse esplorano la figura femminile come simbolo di resilienza, creatività e libertà espressiva – sottolinea Bosco – Le opere, nella loro varietà, compongono un mosaico di esperienze che celebra la donna come soggetto attivo della propria storia, riaffermando il potere dell’arte di raccontare, curare e trasformare».
«L’esposizione “Ferite” al contempo di Maria Chiara Cecconi, propone un percorso artistico intenso e introspettivo. Attraverso opere che dialogano con il corpo e l’anima, Cecconi invita a riflettere sulla capacità dell’arte di farsi cura e da un bisogno di trasformare un’esperienza di intima sofferenza in un linguaggio che possa trovare occhi che vi si riconoscano. Dove il segno e la forma hanno la forza di curare l’indelebile cicatrice mostrando che anche da un doloroso frantumarsi della vita si puo’ riparare la ferita arricchendola della capacità del racconto – la riflessione dell’assessora alle politiche sociali – Un racconto che nasce dal vissuto dell’artista, segnato dalla malattia, e che si apre a una dimensione condivisa, capace di restituire senso e speranza attraverso la bellezza».
L’esposizione “Ferite” di Maria Chiara Cecconi è curata da Alessandro Giansanti con la partecipazione di Agarte Fucina delle Arti, e la collaborazione del Gruppo AIGU Abruzzo – Associazione Italiana Giovani per l’UNESCO, referente per l’Abruzzo Federica Vennitti, che sostiene l’iniziativa riconoscendone la piena coerenza con i valori UNESCO: la cultura come veicolo di benessere, inclusione e crescita personale e collettiva.













