La strumentalizzazione delle parole di Nicola Gratteri non è soltanto un esercizio di superficialità politica: è una ferita all’intelligenza dei cittadini italiani, un tentativo di piegare un discorso complesso alle esigenze degli schieramenti. È la prova plastica di quanto fastidio provochi chi, come Gratteri, sceglie di parlare fuori dai cori, senza ammiccare né a destra né a sinistra, senza indossare le divise del tifo politico.
Dentro questo clima polarizzato, il nome di Giovanni Falcone viene trascinato ancora una volta come una bandiera da sventolare a seconda delle convenienze. Eppure, Falcone – calato nel dibattito odierno – si sarebbe schierato senza esitazione contro la separazione delle carriere. Lo avrebbe fatto non per spirito corporativo, ma per una visione chiara: una magistratura unitaria, indipendente, capace di difendere lo Stato e i cittadini senza essere divisa in compartimenti stagni.
Falcone, tradito dai correntocrati, non si lasciò mai trascinare nella lotta contro la magistratura nel suo complesso. Nel suo celebre discorso in cui invocava una diversa professionalità del PM – alla luce del nuovo codice del 1989 – egli non rinnegò mai l’idea di un corpo giudiziario composto in gran parte da magistrati onesti e operosi. È questa la lezione che oggi rischiamo di tradire: la pretesa che i magistrati delusi debbano accogliere la riforma e allo stesso tempo scagliarsi contro se stessi e contro la loro istituzione.
Quello che Gratteri ha spiegato con limpidezza è che una magistratura separata non è un vantaggio per i cittadini, né per la politica. È un pericolo: per l’equilibrio dei poteri, per il principio di uguaglianza davanti alla legge, per la stessa capacità dello Stato di contrastare mafie e corruzione.
Non basta essere delusi dal proprio autogoverno – talvolta per ragioni di carriera, talvolta per amarezze personali – per rinnegare l’ideale di una magistratura realmente autonoma e indipendente. Falcone ci ha insegnato a distinguere tra le persone e le istituzioni, tra chi tradisce e chi invece difende il sistema giudiziario ogni giorno, in silenzio. E i magistrati davvero indipendenti questo principio lo portano ancora oggi come bussola.
Lasciamo ad altri il ruolo dei traditori delle istituzioni, di chi sostiene la riforma – anche attraverso il silenzio, che spesso pesa più delle parole – in vista della possibile vittoria del Sì al referendum. Perché c’è un punto che chi conosce davvero questo mondo sa molto bene: se la riforma passerà, i primi a pentirsene saranno proprio quelli che l’hanno voluta.
E allora, forse troppo tardi, tutto diventerà chiaro. Le parole di Nicola Gratteri assumeranno il loro reale peso. E il Paese capirà quanto fragile sia la democrazia quando si alterano gli equilibri della giurisdizione.
Perché dire NO al referendum: la riforma della giustizia non è cambiamento, è resa




