C’è un momento in cui i territori marginali, quelli che sembravano destinati al silenzio, iniziano a parlare con voce nuova. È successo alla Biennale di Venezia, dove Castel del Giudice, piccolo comune dell’Alto Molise, ha mostrato come l’abitare del futuro possa nascere proprio nei luoghi più fragili.
Un paradosso? No. Una rivoluzione lenta, concreta, possibile.
L’esperienza delle nuove politiche del riabitare avviate nel borgo, già considerato un case study nazionale, è stata presentata dall’ing. Rosita Levrieri alla Mostra Internazionale di Architettura, nel corso di un incontro dedicato al modello del Community Land Trust in Italia. Una cornice d’eccellenza per raccontare un percorso che, partendo dalla crisi delle aree interne, propone un diverso modo di immaginare casa, comunità, futuro.
C’è chi dice che le correnti artistiche cambiano, ma che il bisogno di una dimora non conosce pause. È in questa tensione tra incertezza e desiderio di stabilità che nasce la rigenerazione dei piccoli paesi. Rigenerare significa affrontare lo spopolamento, l’invecchiamento, la fragilità strutturale e demografica di territori che rischiano di svuotarsi, perdendo identità e memoria.
Dentro questo scenario, Castel del Giudice è diventato un laboratorio vivo. Un luogo in cui il limite non è un ostacolo, ma un varco da attraversare per immaginare forme nuove di abitare. Ed è proprio questa esperienza che, il 13 novembre 2025, alle Corderie dell’Arsenale, è stata raccontata all’interno della Biennale curata da Carlo Ratti.
L’ing. Rosita Levrieri, Responsabile Unico del Progetto “Castel del Giudice – Centro di (ri)Generazione dell’Appennino”, è intervenuta all’incontro “Il modello di abitare collaborativo del Community Land Trust in Italia: prime sperimentazioni e oltre”, organizzato in collaborazione con l’Università IUAV di Venezia. Un confronto che ha richiamato ricercatori, amministrazioni, attivisti, progettisti.
Il tema al centro del dibattito non è astratto: riguarda l’abitabilità reale dei territori fragili, l’inclusività, la capacità di garantire case accessibili e dignitose, soprattutto alle persone più vulnerabili.
La Levrieri ha spiegato che la crisi dei territori marginali non è solo demografica o economica: è anche simbolica, perché quando un paese perde abitanti, perde anche narrazioni, funzioni, prospettive. Eppure, l’esperienza di Castel del Giudice dimostra che invertire la rotta è possibile attraverso un approccio integrato, capace di unire:
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welfare locale,
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sostenibilità,
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partecipazione comunitaria,
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visione di lungo periodo.
Il cantiere, ha sottolineato, diventa così un laboratorio etico prima ancora che tecnico. Un luogo di dialogo tra territorio, progetto e comunità.
Il dibattito ha riunito esponenti del mondo accademico, del Terzo Settore e della società civile:
Antonio Vercellone (Università di Torino), Laura Fregolent (IUAV), Donatella Toso (“Salviamo San Piero e Sant’Anna”), Remi Wacogne (OCIO), Maurizio Trabuio (Fondazione La Casa onlus), Francesca Mereta (Assifero – ECFI), Laura Colini (IUAV), Ivonne de Notaris (Comune di Napoli), Maria Pina Musio (Comune di Settimo Torinese), oltre ai rappresentanti della Fondazione Community Land Trust – Terreno Comune: Karl Krähmer, Cecilia Guiglia e Santiago Gomes.
Un confronto ricco, aperto, capace di intrecciare saperi diversi attorno a un’unica domanda: come si abita un territorio fragile?
Castel del Giudice, con i suoi progetti, ha portato una risposta concreta.
Il Comune di Castel del Giudice guarda avanti. Ora si prepara alla costituzione di una Fondazione del Terzo Settore, passo decisivo per rendere strutturale il modello di rigenerazione avviato negli ultimi anni.
L’obiettivo è chiaro:
trasformare un’esperienza virtuosa in un sistema permanente, capace di affrontare:
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la crisi abitativa nelle aree interne,
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la desertificazione demografica,
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la vulnerabilità delle fasce più fragili,
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il bisogno di case accessibili ed ecosostenibili.
È il segno di un nuovo modo di intendere l’abitare: non più solo “costruire”, ma prendersi cura di luoghi e persone.





