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Le cazzate odierne sul SISTEMA MONTANTE

by Paolo De Chiara
16 Dicembre 2023
in Il "Moscone", la rubrica del Direttore
Reading Time: 11 mins read
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«Ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto….
L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.

Paolo Borsellino, magistrato ucciso dalla mafia e dallo Stato deviato

Il “Sistema Montante” è vivo, vegeto e pulsante. E lotta insieme a noi. Anzi, contro di “noi”. Contro le persone perbene, contro tutti coloro che si sono tenuti a distanza da un sistema marcio. Gli apostoli dell’Antimafia, quella parolaia (che non fa un cazzo per cambiare le cose, anzi fa di tutto per la propria squallida autodifesa), continuano a tramare nell’ombra. Il loro “salvatore”, il paladino di quella dannosa Antimafia (termine talmente desueto e inflazionato che andrebbe abolito), è caduto dal piedistallo dove loro lo hanno posizionato. Il loro “Cesare Augusto” è caduto. L’abbiamo già scritto e lo ripeteremo all’infinito: rovinosamente.

Peccato che tutte le cadute non si portano dietro tutti gli uomini infedeli dello Stato, gli appartenenti dei servizi segreti (deviati?), i magistrati corrotti, i giornalisti spregiudicati. Tutti uniti per un solo scopo: la loro carriera. E come accade spesso, in questo strano Paese, il sipario viene fatto calare. Magistralmente. Scientificamente.

Pochi, oggi, parlano seriamente del “Sistema Montante”. A pochi conviene parlare di questo verminaio e di questi intrecci delinquenziali. La parola d’ordine è: minimizzare. Negare. Loro hanno avuto la faccia tosta di fare quel cazzo che hanno voluto: incarichi, soldi, stipendi, carriere, promozioni, promesse, sistemazioni lavorative per mogli, figli, amanti, amici, “amici degli amici”, cene, puttane. Facevano a gara per “toccare” il Montante.

Il copione è sempre lo stesso.

Il commento fa riferimento al nostro articolo: “Ma che fine ha fatto il Sistema Montante?” del 15/12/2023

Si tenta l’impossibile. Dopo due condanne (14 anni in primo grado e 8 anni in secondo grado) si utilizzano parole vuote. Inconcludenti. Vergognose. Qualcuno si è sentito offeso? Ma chi si offende è un fetente. E quanti fetenti ci sono in questa brutta storia (come in tutte le altre storie che continuiamo a chiamare “misteri italiani”).  

Andiamo per ordine e analizziamo le parole a vanvera di soggetti che rappresentano qualcosa di nobile (la frase di Paolo Borsellino non è stata messa a caso all’inizio) e che cercano di distruggere ogni tipo di ragionamento. E partiamo dalle cazzate che, di tanto in tanto, siamo costretti a leggere. Ovviamente il nostro ragionamento è ampio, non intende colpire o accusare – come in questo caso – l’autore di questo commento. Utilizziamo queste espressioni per ragionare e dire la nostra. 

«Non c’è nessun “sistema Montante”, perché non c’è mai stato nessun “sistema Montante”».

Un ragionamento filosofico. Di bassa qualità. Non possiamo che complimentarci con l’autore di questa balla colossale. Il copione, già richiamato, è uguale in ogni storia.

Non “c’è nessuna Trattativa tra lo Stato deviato e la mafia perché non c’è mai stata una Trattativa Stato-mafia”. Quante volte abbiamo sentito questo concetto. Quante volte abbiamo dovuto leggere e ascoltare l’inserimento di quella parolina inutile e pericolosa: “presunta”. Una puttanata ripetuta all’infinito. Bisogna negare. Sempre. Davanti all’evidenza, davanti alla realtà. Questa è la regola madre. Bisogna martellare con certe cazzate perché la massa deve sentirsi confusa. E siccome le carte in questo Paese, a volte, non vengono lette nemmeno dagli addetti ai lavori è gioco facile continuare a raccontare le balle. Tanto fanno presa.

Ma noi non ci stiamo a questo giochetto infantile e diabolico.

Il “Sistema Montante” è esistito. Oggi, con la caduta del “messia” eletto dai suoi discepoli (che ancora fanno il bello e il cattivo tempo), si è incattivito. Per auto-difesa.

Da anni le mafie, in questo Paese orribilmente sporco, hanno cambiato pelle. O maschera. Hanno capito che le bombe e le stragi (la strategia della tensione indicata dalle “menti raffinatissime”) non portano a nulla. Solo ad uno scontro aperto. E, per tutelare e aumentare i loro interessi – soprattutto economici -, hanno deciso di indossare una nuova maschera.

Quella dell’Antimafia (ovviamente con tutto il rispetto per coloro che ci credono e portano avanti queste battaglie disinteressatamente). Sciascia è stato preso in parola. I professionisti dell’Antimafia (che fatta in questo modo, lo ripetiamo, non serve a un cazzo) hanno cominciato ad investire in questo settore.

Montante, Nicosia, Helg, Lo Verde, Candela, Saguto, Damiani, Tirrito… (solo per citarne alcuni) hanno cominciato a sfruttare la lotta alle mafie (che significa sacrificio e non passerelle) per i loro interessi. Tutti i soggetti nominati, dopo tanti anni, sono caduti.

Tanti altri, che si nascondono dietro questo paravento (l’Antimafia), cadranno. È solo questione di tempo.

Restano i silenzi imbarazzanti di tutti coloro che, oggi, sfruttano ancora questi legami. Un silenzio comprensibile per la loro vigliaccheria. Devono tenere stretto il potere nelle loro sporche mani. E non possono certo commentare le foto insieme al condannato Montante.

Ma torniamo alla reazione sui social dei difensori d’ufficio. Ecco l’apoteosi dell’assurdo:

«“Antonello Montante, allo stato attuale, è un incensurato per la giustizia di questo Paese. Nel caso in cui venisse assolto definitivamente in Cassazione (cosa possibile al limite del probabile, dato che già la Suprema Corte si era pronunciata sull’associazione del “sistema Montante, demolendone di fatto l’esistenza), come concilierebbe l’affermazione secondo cui “il soggetto non era affatto uno stinco di santo”?».    

Il solito inconcludente ragionamento, già ascoltato in passato. Nello Stato di diritto (ma per chi vale questo diritto?) bisogna aspettare la Cassazione. Prima sono tutti innocenti. Per tutti deve valere la regola impressa, giustamente, nella nostra Carta Costituzionale. Ma i nostri Padri costituenti avevano in mente un’altra Repubblica. Fondata sul Lavoro, sui diritti, sui doveri, sulle eguaglianze, sulla legalità, sull’antifascismo.

Ma sin dalla nascita (una data precisa è impressa nella nostra storia: 1° maggio del 1947), la Repubblica, è stata fondata sulle mafie. Anzi, anticipando i tempi, hanno istituzionalizzato le mafie con la scusa dell’Unità d’Italia (mai avvenuta, ma questa è un’altra storia).

Montante sarà assolto in Cassazione? Conciliare con l’affermazione “uno stinco di santo”?

A noi delle sentenze interessa fino ad un certo punto. La giustizia percorre la sua strada, quando è in grado di farlo. Noi, operatori dell’informazione, abbiamo il dovere di raccontare i fatti e di metterci la faccia. Abbiamo letto le carte, le sentenze, le ordinanze, le intercettazioni. I favori chiesti ed offerti. I giornalisti coinvolti. Le continue telefonate a Montante. I giornali creati ad arte e finanziati per un preciso scopo. Gli incarichi offerti, le mance, le richieste. In un Paese civile (di diritto) tutto questo rientra nella famosa “mentalità mafiosa”.

Il “Sistema Montante”, che esiste ancora, è legato alla mentalità mafiosa di questo Paese marcio. Un Paese in cui i mafiosi vengono eletti nei centri di potere. Dove i presidenti del consiglio hanno avvantaggiato le mafie, con i loro sporchi legami (e finanziamenti). Dove svariati ministri sono stati diretta espressione delle cosche. I mafiosi, grazie anche all’Antimafia da quattro soldi, hanno occupato ogni cosa: consigli comunali, provinciali, regionali. Siedono in Parlamento e nell’Europa che conta. Il famoso “nodo politico” non è mai stato spezzato. Le mafie sono utili per raggiungere il potere, la fama, i soldi. E i pacchetti di voti.

Non esiste la volontà politica di sconfiggere le mafie. Solo una volontà esiste: potenziare il Sistema (che può assumere nomi diversi – da Montante a Palamara – ma la sostanza resta sempre la stessa).  

I paladini da quattro soldi restano indisturbati per anni. Tanto bisogna aspettare la Cassazione. E mentre tutti aspettiamo una lenta Giustizia (che vale per i poveri cristi) gli “stinchi di santo” continuano a farsi i cazzi loro. Distruggendo ancora di più le Istituzioni di questo Paese e il futuro dei cittadini.

La Giustizia (che si ferma, troppo spesso, davanti ai potenti) è lenta ma arriva. A volte non riesce a condannare ma motiva e lascia le tracce. E da quelle carte ognuno ha il dovere di coltivare il proprio spirito critico.     

Alla prossima puntata.    

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Paolo De Chiara

FONDATORE e DIRETTORE WordNews.it - direttore@wordnews.it Giornalista Professionista, iscritto all’OdG Molise. Scrittore e sceneggiatore italiano. È nato a Isernia, nel 1979. In Molise ha lavorato con gran parte degli organi di informazione (carta stampata e televisione), dirigendo riviste periodiche di informazione, cultura e politica. Si dedica con passione, a livello nazionale, alla diffusione della Cultura della Legalità all’interno delle scuole. LIBRI: - Nel 2012 ha pubblicato «Il Coraggio di dire No. Lea Garofalo, la donna che sfidò la ‘ndrangheta» (Falco Ed., Cosenza); - nel 2013 «Il Veleno del Molise. Trent’anni di omertà sui rifiuti tossici» (Falco Ed., Cosenza, vincitore del Premio Nazionale di Giornalismo ‘Ilaria Rambaldi’ 2014); - nel 2014 «Testimoni di Giustizia. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie» (Perrone Ed., Roma); - nel 2018 «Il Coraggio di dire No. Lea Garofalo, la donna che sfidò la schifosa 'ndrangheta» (nuova versione aggiornata, Treditre Ed.); - nel 2019 «Io ho denunciato. La drammatica vicenda di un testimone di giustizia italiano» (Romanzi Italiani, finalista del Premio Internazionale “Michelangelo Buonarrori”, 2019). Dal romanzo «Io ho denunciato», nel settembre del 2019, è stato tratto un corto e un medio-metraggio (CinemaSet, vincitore Premio Legalità, Fiumicino 2019). È autore del soggetto e della sceneggiatura del corto e del medio-metraggio «Io ho denunciato. La drammatica vicenda di un testimone di giustizia italiano», 2019 (Premio Starlight international Cinema Award, 77^ Mostra del Cinema di Venezia, settembre 2020). - nel 2022 «UNA FIMMINA CALABRESE» (Bonfirraro Editore). - nel 2023 «UNA VITA CONTRO LA CAMORRA» (Bonfirraro Editore). - Ha collaborato con CANAL+ per la realizzazione del documentario Mafia: la trahison des femmes, Speciàl Investigation (MagnetoPresse). Il documentario è andato in onda in Francia nel gennaio del 2014. Premio "Giorgio Mazzanti", San Salvo, 31 luglio 2025. Premio giornalistico letterario "Piersanti Mattarella", Roma, 30 novembre 2024. Premio Adriatico, «Un mare che unisce», Giornalista molisano dell’anno, Guardiagrele (Chieti), dicembre 2019. Premio Valarioti-Impastato, Rosarno (RC), maggio 2022. Premio Carlo Alberto Dalla Chiesa, San Pietro Apostolo (Catanzaro), agosto 2022. FONDATORE e PRESIDENTE di Dioghenes APS - Associazione Antimafie e Antiusura (dioghenesaps.it) - Ideatore, nel 2022, del Premio nazionale Lea Garofalo (giunto alla IV edizione). - Ideatore, nel 2025, del Premio nazionale Letterario e Giornalistico Pier Paolo Pasolini - www.dioghenesaps.com -- paolodechiara.blog

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