Ancora una volta la politica italiana si trova a fare i conti con ritiri improvvisi, inchieste giudiziarie ed il solito, scomodo convitato di pietra: la criminalità organizzata. Fulvio Martusciello, leader di Forza Italia in Campania, si ritira dalla corsa alle regionali lasciando dietro di sé un silenzio che pesa più di mille parole. Intanto, in Molise, la moglie del presidente della Regione, Francesco Roberti, finisce al centro di un’indagine che scuote le istituzioni locali. Due casi apparentemente distinti, eppure sintomatici di una stessa piaga: il sistema politico spesso si muove su un filo sottile che separa il lecito dall’illecito, il consenso trasparente dagli accordi sottobanco.
Quando un politico di lungo corso decide di ritirarsi, la domanda che sorge spontanea è: perché? Ufficialmente, si parla di strategie e opportunità politiche ma dietro le quinte si sussurra di pressioni, equilibri precari e rapporti pericolosi. In Campania, il controllo dei voti è una partita che si gioca spesso in stanze chiuse, lontano dagli occhi dei cittadini. La mafia non ha bisogno di presentarsi con il volto feroce della violenza, preferisce la stretta di mano, il favore promesso, la candidatura decisa nei circoli giusti. E quando qualcosa non quadra, un passo indietro può essere più significativo di mille parole.
Nel Molise, la questione assume contorni ancor più inquietanti. L’indagine che coinvolge Francesco Roberti e sua moglie pone sotto i riflettori un problema antico ma mai risolto: il confine tra politica e affari. La criminalità non si limita a corrompere funzionari o a infiltrare imprese, si insinua nei meccanismi stessi della gestione pubblica sfruttando la necessità di fondi, appalti e favori. La figura della moglie di un governatore che riceve incarichi – secondo l’accusa – ritenuti fittizi è l’ennesima dimostrazione di un sistema dove spesso la legalità è solo una facciata mentre dietro si muovono logiche ben più oscure.
Si dice spesso che in Italia la mafia e la politica siano due mondi separati ma la realtà racconta altro. Troppe volte chi dovrebbe combattere la criminalità si trova a stringere mani sporche. Le elezioni, poi, diventano il momento perfetto per rafforzare certi legami: le cosche garantiscono pacchetti di voti, i politici, in cambio, chiudono un occhio su appalti, concessioni e nomine. E spesso, in un gioco perverso di ruoli, chi partecipa attivamente a questo sistema e chi finge di combatterlo finiscono per andare a braccetto, alimentando un equilibrio di potere che tiene in ostaggio l’intero paese.
Non si tratta più solo di casi isolati, è un sistema che si ripete che cambia forma ma non sostanza. Oggi tocca a Martusciello e Roberti, domani toccherà a qualcun altro. Fino a quando ci si limiterà a stupirsi senza agire, senza alzare un muro netto tra Stato e criminalità questa terra resterà ostaggio di un potere che non risponde ai cittadini, ma a interessi più occulti e insidiosi.
La domanda è semplice: chi vuole davvero un paese libero da questi intrecci? Perché se la politica non ha la forza di auto-pulirsi allora la responsabilità ricade sui cittadini, su chi sceglie di non piegarsi, di non cedere al fatalismo del “così fan tutti”. La mafia ha un solo punto debole: ha bisogno del silenzio, della rassegnazione. Spezzare questo meccanismo significa smettere di considerare normali certe dinamiche e pretendere trasparenza, legalità e coerenza da chi ci governa. Finché questo non accadrà resteremo sempre sospesi tra la speranza di un cambiamento e la triste consapevolezza che, alla fine, il potere si protegge sempre da solo.
Immagine creata con AI
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