Come spesso accade nei grandi eventi mediatici, anche la morte di Papa Francesco diventa occasione per salire su un palcoscenico, per mostrarsi e per comunicare, anche a costo di svuotare o distorcere il senso autentico del suo messaggio. Un messaggio scomodo, profondo, radicale. Un messaggio che andava ben oltre le appartenenze, che non poteva essere né “di destra” né “di sinistra”, perché puntava il dito contro l’intero sistema di potere, denunciandone la crisi strutturale, morale e ambientale.
Papa Francesco ha cercato di scuotere le coscienze. Ha offerto una visione alternativa alla logica predatoria del profitto, al cinismo delle frontiere, alla corsa agli armamenti, alla devastazione della Terra. Una visione che avrebbe potuto — e potrebbe ancora — ispirare una vera alternativa politica, se solo qualcuno, specialmente a sinistra, avesse il coraggio di raccoglierne l’eredità e farla propria.
Ma il teatrino dell’ipocrisia è in scena. Verranno a rendergli omaggio proprio quei leader che ignoravano o silenziavano i suoi richiami. I fautori del riarmo, che stanno portando la spesa militare al 2% del PIL. I costruttori di muri e lager per migranti, che trasformano il Mediterraneo in un cimitero e criminalizzano la fuga dalla fame e dalle guerre — guerre alimentate anche dalle nostre economie voraci di risorse.
Non lo ha fatto, almeno, Benjamin Netanyahu. Lui va dritto per la sua strada: continuare il genocidio in Palestina per completare la sostituzione etnica. Papa Francesco ha sempre rifiutato di essere complice con il silenzio. Ha denunciato pubblicamente le violenze, anche contro il parere di molti governi occidentali che sostengono Israele e al contempo oscurano la narrazione del massacro.
Con l’enciclica Laudato si’, Francesco ha offerto un’analisi lucida e spietata dell’autodistruzione ambientale e sociale in atto. Ha denunciato il mito della crescita illimitata, già sconfessato negli anni ’70 dal Club di Roma e dalla famosa relazione del MIT. Una crescita che sta portando l’umanità a divorare la zattera su cui vive.
La competizione globale per accaparrarsi materie prime — idrocarburi, terre rare — è la radice profonda dei conflitti contemporanei. Francesco ha indicato un altro paradigma: non più l’espansione economica a ogni costo, ma l’equilibrio del sistema Terra, la redistribuzione della ricchezza, la pace come scelta strutturale.
La morte di Papa Francesco segna un vuoto, ma anche una possibilità. Se i suoi messaggi verranno ascoltati, rilanciati, vissuti. Se non ci si limiterà a rendere omaggio formale mentre si calpesta, nella pratica quotidiana, tutto ciò che ha testimoniato.
Serve continuità. Serve un Francesco II. Non solo nel nome, ma nella visione.
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