Ogni giorno assistiamo – in diretta – a bombardamenti, assedi, sfollamenti di massa, attacchi ai civili. Molti giuristi e organizzazioni per i diritti umani parlano di crimini di guerra e di rischio genocidio. Intanto, la governance internazionale mostra crepe profonde: risoluzioni ignorate, tribunali delegittimati, diritto internazionale piegato agli interessi strategici.
Se non si affronta in modo giusto e radicale la questione palestinese, il risultato sarà un imbarbarimento generalizzato: normalizzazione della violenza, erosione della democrazia, assuefazione collettiva al disumano.
Non servono giri di parole: la politica estera si intreccia con il complesso militare-industriale e con i grandi interessi finanziari. Questo produce un deficit di volontà nel fermare la spirale bellica e un cortocircuito democratico: le piazze globali chiedono il cessate il fuoco, ma il circuito armi–appalti–alleanze continua ad alimentare la guerra.
Criticare scelte di governi e dottrine nazionaliste non è — e non deve diventare — ostilità verso comunità religiose o identità. Antisemitismo e islamofobia vanno respinti insieme, senza ambiguità. La battaglia è per i diritti, non contro i popoli.
Il collasso del mito della globalizzazione felice (anni ’70 in poi) apre un bivio: o si costruisce un ordine multipolare basato su regole, oppure avremo sfere d’influenza armate e “zone di eccezione” permanenti. La Palestina è la cartina di tornasole:
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Se prevale il diritto su forza e punizioni collettive, c’è spazio per una sicurezza condivisa.
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Se prevale la ragion di Stato e il ciclo provocazione–rappresaglia, la guerra infinita diventa modello esportabile.
Non slogan, ma passaggi verificabili:
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Cessate il fuoco permanente e accesso umanitario pieno e continuativo.
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Fine dell’assedio e delle punizioni collettive; garanzie di libertà di movimento e ricostruzione.
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Liberazione di ostaggi e detenuti con meccanismi terzi di verifica e giustizia transizionale.
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Percorso politico vincolante: due Stati con confini e capitale definiti, oppure — se fallisce — pari diritti individuali in un unico spazio politico. Non esistono terze vie credibili.
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Conferenza internazionale con verifiche trimestrali, sanzioni automatiche per le violazioni e embargo sulle armi verso chi colpisce civili o blocca gli aiuti.
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Protezione internazionale dei civili (osservatori, corridoi, missioni civili) e tutela del lavoro dei media.
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Piano economico che scolleghi la ricostruzione dalla rendita bellica: fondi condizionati a trasparenza, anticorruzione, diritti sociali.
Chi frena la pace (e come si disinnesca)
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Lobby delle armi: profitti record in ogni escalation. Risposta: embargo mirati, tasse sugli extraprofitti, trasparenza su commesse e subforniture.
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Nazionalismi identitari (da più fronti): alimentano consenso con la paura. Risposta: sicurezza basata sul diritto e garanzie reciproche verificabili, non sulla punizione collettiva.
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Calo d’attenzione mediatica: la guerra “diventa rumore di fondo”. Risposta: monitoraggi indipendenti, dataset pubblici, diritto di cronaca protetto.
Essere contro l’ideologia e le politiche che negano uguaglianza, diritto e vita non significa essere contro un popolo. L’antisemitismo è una piaga da combattere senza tregua; lo stesso vale per l’islamofobia e per ogni forma di razzismo. Il discrimine è semplice: difendere i diritti universali ovunque e per chiunque.
Roadmap minima per chi governa (e per chi informa)
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Subito: cessate il fuoco, aiuti senza ostacoli, protezione dei civili e dei giornalisti.
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Entro 6 mesi: conferenza con poteri effettivi, calendario negoziato pubblico, verifiche terze.
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Entro 12 mesi: scelta vincolante tra due Stati praticabili o pieno catalogo di diritti in un sistema politico condiviso.
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Sempre: responsabilità individuale per crimini internazionali, ovunque e a chiunque, senza eccezioni.
La questione palestinese non è un “dossier regionale”: è il termometro morale e giuridico dell’ordine mondiale che verrà. Senza giustizia non c’è pace; senza pace non c’è democrazia; senza democrazia restano armi, rendite e paura. Sta a noi – istituzioni, media, società civile – scegliere quale eredità lasciare.