Il cardinale Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli, lancia un appello radicale: basta guerra, basta vernici di patria su carne ferita. Il Vangelo come specchio dell’umano: proteggere i deboli, fermare i profitti sulle macerie.
L’8 luglio 2025 sul sito dell’arcidiocesi di Napoli è apparsa una lettera pastorale di Domenico Battaglia che, senza giri di parole, prende di mira la grammatica del conflitto e la sua anestesia morale. Il testo — ripreso, amplificato e commentato da testate cattoliche e generaliste — è un appello a “salvare ciò che d’umano resta”, a smettere di nascondere vite spezzate dietro formule tecnocratiche.
La tesi è semplice e implacabile: se un progetto schiaccia l’innocente, è disumano; se una legge non protegge il debole, è disumana; se un profitto cresce sul dolore di chi non ha voce, è disumano. Il Vangelo non è zucchero filato per comunicati stampa: è pietra che scrosta, smaschera le vernici di patria e interesse e lascia in campo la sola realtà che conta: corpi feriti, volti perduti, esistenze interrotte.
Con una regia verbale da “contro-briefing”, Battaglia ribalta il vocabolario dei governi e dei board: non chiamate «danni collaterali» le madri tra le macerie; non chiamate «interferenze strategiche» i ragazzi a cui avete rubato il futuro; non chiamate «operazioni speciali» i crateri dei droni. È un’operazione semantica e politica: restituire nome e responsabilità a ciò che la burocrazia dell’arma prova a rendere neutro.
Una delle frasi più dure colpisce la filiera economico-finanziaria del conflitto: «Ogni proiettile è già previsto nei fogli di calcolo di chi guadagna sulle macerie». Non è retorica: è l’accusa frontale alla speculazione che trasforma l’umano in utile. Un monito rimbalzato anche in successive omelie e commenti: chiamare i droni con il loro nome — «fucilazioni telecomandate» — e svelare cosa c’è dietro la dizione “danni collaterali”.
Le guerre del presente — con il loro corredo di missili, ospedali bombardati, bambini che contano buchi nel soffitto invece delle stelle — rischiano di passare per “necessarie” solo perché la lingua che le racconta è stata addomesticata. La lettera interviene esattamente qui: nel punto in cui il lessico addolcisce l’orrore e lo rende vendibile. Spezzare il linguaggio è il primo atto di resistenza.
La scelta mozzafiato: costruttori di vita o complici del male
Battaglia non concede zone grigie: o si lavora per ricucire — «convertire i piani di battaglia in piani di semina», «discorsi di potenza in discorsi di cura» — o si alimenta, anche per omissione, la macchina che tritura i deboli. Terze vie non esistono.
Cosa chiede, concretamente, il testo (in 7 verbi operativi)
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Visitare i luoghi feriti (ospedali, scuole, case): guardare, annusare, ascoltare.
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Smontare il linguaggio e nominare le cose: da «strategico» a «umano».
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Proteggere i deboli come criterio delle leggi.
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Sottrarre consenso e denaro alla filiera del riarmo: etica degli investimenti.
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Ricucire comunità con gesti minuti: un divano che si allunga, una pentola che raddoppia.
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Educare alla coscienza: anche chi non crede ha parole come onestà e vergogna.
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Scegliere: vita o male — non esistono terze vie.
In tempi in cui la retorica vorrebbe normalizzare la guerra, il cardinale Domenico Battaglia fa un’operazione chirurgica: toglie l’anestesia. Rimette al centro bambini, madri, ospedali, soldati ventenni. E ci consegna una domanda che brucia: «Ho salvato o ho ucciso l’umanità che mi era stata affidata?». Il giornalismo, la politica, la finanza — tutti — dovranno rispondere. E possibilmente non con un’altra sirena nella notte.
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