La partecipazione di Rita De Crescenzo alla trasmissione Belve, condotta da Francesca Fagnani su Rai 2, ha innescato un nuovo terremoto mediatico e culturale. Non una semplice polemica televisiva, ma una questione che tocca i nervi scoperti dell’Italia contemporanea: chi può rappresentare Napoli? Chi ha diritto di parola nel servizio pubblico?
A denunciare la scelta della Rai è stato l’avvocato Angelo Pisani, in rappresentanza dell’associazione Potere ai Diritti e del portale Il1523.it. Un appello-diffida pubblica che chiede ai vertici di Viale Mazzini di “rispettare i contribuenti e l’immagine della città di Napoli”, accusando la Rai di spettacolarizzare il degrado e di legittimare “figure prive di responsabilità culturale, sociale ed educativa”.
L’appello dell’avv. Pisani: “La Rai non è un teatrino, difendiamo la dignità di Napoli”
Nel suo intervento, Pisani usa parole nette:
“Napoli non è un teatrino. Napoli non è la caricatura di un personaggio.”
Secondo l’avvocato, l’invito a Rita De Crescenzo — già denunciata per dichiarazioni offensive verso alcune categorie professionali — rappresenta una violazione del ruolo educativo e culturale del servizio pubblico.
Pisani richiama l’attenzione sul canone Rai, ricordando che “ogni famiglia paga 90 euro l’anno” e che dunque il servizio deve “promuovere contenuti di qualità, esempi virtuosi e chi costruisce il futuro del Paese, non chi viene scelto per rumore e provocazione”.
L’appello dell’avvocato invita i cittadini a mobilitarsi, le istituzioni a vigilare sull’uso dei fondi pubblici e i napoletani a difendere l’immagine della loro città. Tra le iniziative proposte, anche una possibile class action dei contribuenti contro la Rai.
Un discorso che, almeno nelle intenzioni, vuole difendere la dignità collettiva. Ma che, come ha denunciato la IOD Edizioni, rischia di trasformarsi in una forma di censura morale e di razzismo di classe.
La risposta della IOD Edizioni: “Non è decoro, è razzismo sociale”
Con un comunicato potente e articolato, la IOD Edizioni si è schierata apertamente contro la posizione dell’avv. Pisani, definendola “una forma di censura classista e di ipocrisia mediatica”.
La casa editrice denuncia “la pretesa di stabilire chi sia degno di rappresentare Napoli e chi no”, smascherando — dietro le parole di decoro e dignità — una “visione elitaria della società, che esclude chi vive ai margini”.
“Napoli non si difende censurando i poveri.
Il servizio pubblico appartiene a tutti, anche a chi vive nella povertà o nell’ignoranza.”
Secondo la IOD, il problema non è la presenza televisiva di Rita De Crescenzo, ma le disuguaglianze storiche e sociali che hanno generato la sua realtà. L’indignazione morale dei “benpensanti” viene definita “una comoda ipocrisia borghese”: chi oggi si scandalizza per un personaggio popolare in tv — scrive l’editore — “ha voltato lo sguardo per decenni davanti alla miseria dei quartieri popolari”.
Libertà d’espressione e disuguaglianza: il cuore del conflitto
La IOD Edizioni richiama l’articolo 21 della Costituzione: la libertà di espressione è un diritto di tutti, non solo dei “virtuosi”. Vietare a qualcuno di parlare o apparire in tv perché “non è un esempio” rappresenta, secondo l’editore, “una censura preventiva fondata sul privilegio culturale”.
Chi stabilisce — si chiede il comunicato — chi sia “esempio” e chi “disvalore”?
E, soprattutto, perché la società è indulgente verso i colletti bianchi ma spietata con i poveri?
“La vera emergenza morale non è nei vicoli — scrive la IOD — ma nei salotti che fingono di non vedere i vicoli.”
Una posizione che ribalta la prospettiva: la televisione, nel mostrare anche la parte “scomoda” della città, non fa altro che restituire una fotografia della realtà.
La lezione di Giancarlo Siani: raccontare la “Napoli che non conta”
Nel suo comunicato, la IOD Edizioni cita Giancarlo Siani, il giovane giornalista assassinato dalla camorra nel 1985, come esempio di impegno civile.
Nel suo primo articolo, Signurì. Signurì. Tra gli scolari della Napoli che non conta (1979), Siani descriveva una città “nera di fumo e sporca di ingiustizie”, ricordando che per cambiare Napoli bisogna partire dai bambini dei quartieri più poveri.
Il messaggio, ancora oggi attualissimo, è chiaro: guardare Napoli dagli ultimi, non dai salotti. Solo offrendo cultura, istruzione e alternative si può spezzare il ciclo dell’illegalità e della disperazione.
Due Napoli a confronto: quella che giudica e quella che sopravvive
Il caso Rita De Crescenzo, al di là della sua dimensione televisiva, ha scoperchiato una frattura antica: quella tra la Napoli “bene” — che rivendica il decoro e la rispettabilità — e la Napoli popolare, che chiede visibilità dopo decenni di abbandono.
La prima pretende di essere rappresentata solo dai “meritevoli”; la seconda rivendica il diritto di esistere, anche con le sue ferite.
È il vecchio conflitto tra borghesia e popolo, tra chi vuole apparire pulito e chi non ha mai avuto il privilegio di esserlo.
In questo senso, la IOD Edizioni conclude con un appello alla responsabilità collettiva:
“La vera offesa a Napoli non è chi la mostra per quello che è, ma chi vuole continuare a non vederla.”
Questa polemica non è solo napoletana. È uno specchio dell’Italia contemporanea, dove il confine tra rappresentazione e pregiudizio, tra libertà e moralismo, tra cultura e censura, è sempre più sottile.
Da una parte, la richiesta di decoro e rispetto.
Dall’altra, la difesa della libertà e dell’uguaglianza sostanziale.
Forse, come scriveva Siani, “per cambiare una città bisogna partire dagli ultimi”.
E forse è proprio in quella “Napoli che non conta” — quella che nessuno vuole vedere in prima serata — che si trova ancora la possibilità di una rinascita vera, collettiva, senza maschere né ipocrisie.
Il rumore del nulla. Quando la televisione si inginocchia davanti al trash





