La storia giudiziaria di Catania si arricchisce di un nuovo capitolo, uno di quelli che segnano un cambio di prospettiva: non solo gli uomini, non solo i reggenti, non solo le vecchie gerarchie di sangue. Stavolta al centro dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. di Catania su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia c’è Grazia Santapaola, nome pesante, sangue pesante, legame diretto con il vertice storico di Cosa nostra catanese, Benedetto Santapaola.
Il provvedimento, eseguito dai Carabinieri del ROS, tratteggia un quadro inedito: una donna che, secondo l’ipotesi accusatoria (fermo restando il principio di innocenza fino a sentenza definitiva), non sarebbe stata semplice depositaria di un cognome, ma protagonista operativa, capace di muovere fili, dirimere conflitti, trattare affari e difendere l’onore del clan.
Il ruolo “preponderante”: ben oltre la parentela
Il reato contestato (416 bis, commi 1, 4 e 6 c.p.) non è formale carta bollata: è l’accusa di associazione mafiosa, aggravata. E a rendere rilevante questa indagine è la ricostruzione di un ruolo nuovo, quasi mai riconosciuto prima in una donna della famiglia di sangue Santapaola.
Secondo gli investigatori, nel corso di numerose indagini (in particolare nell’ultima, nota come operazione “Mercurio”, eseguita lo scorso gennaio), Grazia Santapaola avrebbe mostrato un profilo tutt’altro che secondario. Non la moglie devota né la parente silenziosa. Gli atti suggeriscono una figura autorevole, rispettata e temuta.
Una donna che avrebbe scelto di rivestire attivamente il ruolo di associata, facendo leva su un potere naturale: il sangue, la discendenza, la genealogia mafiosa.
“Ottantapalmi”: il regno che non si amministra da spettatrice
Il gruppo mafioso “Ottantapalmi”, storicamente legato alla famiglia Santapaola-Ercolano, non viene descritto come terreno lontano dalla donna. Tutt’altro: sarebbe stata lei, insieme al marito Salvatore “Turi” Amato, a gestire una parte significativa degli affari illeciti nel centro storico di Catania. Affari, sostentamento delle famiglie dei detenuti, equilibri da mantenere.
Secondo gli inquirenti, Grazia Santapaola avrebbe agito come garante, come ambasciatrice del potere del gruppo.
Una figura riconosciuta anche da altri sodalizi mafiosi.
I contrasti con il clan Nardo: il rispetto, linea rossa del potere
Tra gli episodi ricostruiti dal ROS emerge un conflitto con il clan Nardo, dove Santapaola sarebbe intervenuta per difendere il figlio di Francesco Santapaola, noto come “Ciccio campetto”, già reggente operativo della famiglia e attualmente detenuto. Un episodio che, se confermato in sede processuale, mostrerebbe una dinamica chiara:
intervenire significa comandare, rappresentare, incarnare la famiglia. Non un ruolo simbolico, ma una funzione concreta.
Lo scontro con Christian Paternò: quando il rispetto diventa questione di mafia
Altro passaggio significativo: l’alterco con Christian Paternò, esponente del gruppo mafioso di San Giovanni Galermo, arrestato nell’operazione “Ombra”. La donna, secondo la ricostruzione investigativa, avrebbe affrontato Paternò accusandolo di un grave affronto nei suoi confronti.
In Cosa nostra, il rispetto è moneta di potere. E quando a reclamare rispetto è una donna della famiglia di sangue, la reazione del sistema mafioso è rivelatrice: la sua voce pesa.
La sua parola conta.
La guerra del 2023: Santapaola-Ercolano contro Cappello
Nel 2023 esplode un conflitto caldo: i gruppi dei Santapaola-Ercolano (in particolare quello della Stazione) contro il clan Cappello. Dallo scontro nascerà l’operazione “Leonidi”, con un decreto di fermo firmato dalla DDA.
In quel quadro turbolento, secondo l’ordinanza notificata oggi, Grazia Santapaola avrebbe preso posizione, difendendo l’onore della famiglia contro alcune mancanze di rispetto provenienti da affiliati della Stazione.
Non un ruolo ancillare. Non un gesto emotivo. Una presa di posizione mafiosa, decisa, mirata.
Il passaggio storico: da ruolo “di contorno” a figura operativa
L’aspetto più significativo della ricostruzione è questo: per la prima volta in anni di indagini sul clan Santapaola, una donna della famiglia di sangue viene descritta, a livello di gravità indiziaria, come soggetto attivo e operativo, non come figura di supporto.
Secondo gli investigatori, avrebbe: gestito affari illeciti, intervenuto nei conflitti tra clan, difeso l’onore del gruppo Ottantapalmi, rappresentato gli interessi della famiglia, assunto decisioni con autonomia riconosciuta
Un salto di livello. Un passaggio che racconta l’evoluzione della mafia catanese, sempre più liquida, adattiva, capace di ridefinire ruoli, gerarchie e funzioni.
Le parole del Procuratore Distrettuale Francesco Curcio segnano la data: Catania, 2 dicembre 2025. Il quadro è in movimento. Le ipotesi investigative dovranno affrontare il vaglio del processo. La presunzione di innocenza resta un pilastro.
Ma ciò che emerge, in questa fase, è un tassello nuovo nella storia della mafia catanese: la centralità presunta, ma con indizi ritenuti gravi, di una donna nell’architettura del potere Santapaola. Una storia che parla del passato, ma soprattutto del futuro: perché se le mafie cambiano pelle, cambiano anche le figure che le attraversano.
E questa volta, al centro della scena, c’è un nome che pesa come una pietra: Grazia Santapaola.
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