di Alessio Di Florio
Nei giorni della polemica nazionale intorno ai funerali del capostipite Vittorio emerge come alcuni Casamonica pubblicano tranquillamente su Facebook pistole, minacce anche di morte, foto di bambini immersi in un mare di banconote.
In una retata nel rione Sanità di Napoli del febbraio 2019 viene arrestato anche un certo Silvestro Pellecchia, imparentato con i Sequino, considerati al vertice del clan, sul cui profilo Facebook impazzano le foto dei suoi tatuaggi (Mussolini, Hitler, Osama Bin Laden, le tombe di Totò Riina e Bernardo Provenzano). L’anno scorso su Il Venerdì di Repubblica Attilio Bolzoni segnalava il caso di un giovanissimo del rione Sanità di Napoli che ha dedicato un post alla sua fidanzata: armi in pugno le scrive “sei bella come una questura che brucia”.
Il 7 aprile 2016 è andata in onda a Porta a Porta l’intervista a di Salvo Riina, il giorno dopo su Facebook è comparsa una pagina volgare, già dal nome «Non c’è cosa più divina che scoparsi Salvo Riina». Una pagina che ha ricevuto trenta mi piace ed è rimasta sempre “morta”.
L’elenco di pagine e gruppi Facebook inneggianti a boss, a mafiosi e al loro mondo, potrebbe essere sterminato. È già un pessimo segnale che ci siano utenti della rete che esternano questi vergognosi apprezzamenti. Ma si deve andare oltre, perché ci sono casi in cui queste pagine non sono solo lo squallido frutto di paramafiosi ma il paravento di traffici dei mafiosi stessi. Uno studio di fine 2018 di due università inglesi (University of London, University of Liverpool) e quattro australiane (Griffith University, University of New South Wales, Curtin University, Burnet Institute) ha documentato che «La tendenza più recente è l'uso dei social e di app di messaggistica criptata, come Instagram, Snapchat, WhatsApp e Wickr, per fornire e accedere a droghe illecite». Una pagina Facebook, apparentemente vuota, un gruppo privato (ovvero dove possono accedere solo gli iscritti) di appoggio, permettono di scambiarsi messaggi, di far girare comunicazioni. E così, per esempio, gli spacciatori del terzo millennio trovano nuovi mercati.
Una maxi operazione contro lo spaccio di droga la cui base era nel quartiere di Napoli ha portato venti indagati nel luglio di due anni fa. I due cartelli del narcotraffico, che gravitavano intorno al clan Formicola e a Pasquale Matarazzo, con l’assenso del clan Veneruso-Rea, riceveva gli ordini su diversi social network.
Nel 2017 sconcertò la pubblicazione, su Facebook, del video di due donne rom, accusate di furto, rinchiuse in una gabbia da due dipendenti di un supermercato. Il caso fece scalpore in tutta Italia e, a margine dell’intera vicenda, emerse uno di questi casi: uno dei dipendenti risultò essere iscritto, riportò Repubblica, al gruppo “The Droga Clan” (90 mila iscritti circa) a cui si appoggiava la pagina “Non sono bello ma spaccio” che contava 486 mila fan. Il primo è ancora online, l’ultimo post pubblicato è datato 10 gennaio 2018, un anno dopo conta ancora 15999 fan e 16610 utenti che lo seguono.
In occasione del processo sul Mondo di Mezzo romano, intorno alla figura dell’ex terrorista neofascista Carminati, Maurizio Boccacci per mesi ha ripetutamente insultato e attaccato Lirio Abbate, L’Espresso e chiunque stava documentando e denunciando quanto girava attorno a Carminati. Lo stesso Boccacci, aderente ad Avanguardia Nazionale (il movimento fondato da Stefano Delle Chiaie) e fondatore del Movimento Politico Occidentale (neonazista e sciolto nel 1995), di Militia e leader dei neofascisti dei Castelli Romani, espresse solidarietà sui social a Roberto Spada dopo la testata contro Daniele Piervincenzi, varie volte protagonista della cronaca giudiziaria.
2/fine
La prima parte è stata pubblicata mercoledì 22 gennaio 2020
Le mafie cercano consenso sui social network
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2020-01-23 07:38:56
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