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Jvan Baio: una storia di ribellione

by Redazione Web
14 Maggio 2020
in L'Opinione
Reading Time: 4 mins read
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Da una parte una grande multinazionale, la più grande azienda d’Europa nel settore petrolchimico, dall'altra i clan della mafia siracusana con lo spaccio di droga, le scommesse clandestine, il contrabbando di sigarette, le estorsioni. In mezzo, stritolata in una realtà quotidiana sempre più complessa, la vita di Ivan Baio e della sua famiglia.

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È una storia complessa quella di Ivan iniziata nel 2013 e ancora senza soluzione: operaio della Isab, decide di aprire un circolo ricreativo con due colleghi, una sorta di dopolavoro per gli operai della azienda; ma in pochissimo tempo, come lo stesso Ivan Baio ci racconta, «il circolo si trasforma in punto di spaccio della droga, contrabbando di sigarette, luogo di incontro per i rappresentanti dei clan mafiosi siracusani, in particolare i componenti del clan Bottaro Attanasio». Artefice di questa "trasformazione" un suo collega, «tale Luca Vella, che in breve tempo si rivela per ciò che realmente è: un operaio della azienda ma anche cugino di Pasqualino Mazzarella, uno dei reggenti del clan».

Ivan, vittima degli atteggiamenti malavitosi di Vella e di Cassio Concetto imposto come nuovo "socio" del circolo («esponente del clan Bottaro-Attanasio») subisce «minacce e pressioni con continue richieste di denaro» a cui non può e non vuole dar seguito. Così inizia a denunciare «le violenze e lo spaccio e il contrabbando». 
Dopo la chiusura del circolo, ad appena un mese dalla sua apertura e le denunce effettuate, inizia il calvario.

«Al lavoro il clima risulta avvelenato». Nei confronti dell'uomo si registrano ostilità. Ottiene il trasferimento presso un altro pontile (come da lui richiesto), ma diventa il "traditore", "lo sbirro", "l'infame" che ha denunciato il malaffare e cosi, dopo trasferimenti e buoni malattia, «inviati anche su suggerimento della stessa azienda», nel 2015 «arriva il licenziamento».

Fuori dal lavoro la situazione è  ugualmente difficile: «i clan chiedono il denaro non versato», estorcendolo a suo fratello, titolare di un'attività commerciale e «non ottenendolo, pochi giorni dopo, incendiano il negozio». «Non mancano le minacce di morte, le violenze fisiche e psicologiche».

Un vero dramma umano, familiare e lavorativo quello di Baio: una storia che va ricostruita nel particolare ambiente socio-economico nel quale si svolge, con una famiglia di origine che non vede di buon occhio la ribellione alla mafia da parte di un suo componente.

Ci racconta Ivan, ultimo di sei figli, di quando poco più che bambino chiese alla madre di abbandonare la casa in cui vivevano e quel quartiere dove era cosa normale vedere un noto capo clan sul terrazzo di fronte stappare una bottiglia di spumante per festeggiare l'uccisione del giudice Giovanni Falcone la sera della strage di Capaci.
Una famiglia non mafiosa quella di Ivan, ma nata e cresciuta in un territorio dove la mafia è per molti quotidianità, normalità e dove far finta di "non vedere" diventa prassi.

Lui vuole altro e denuncia ai suoi superiori quello che avviene presso i pontili, su quel tratto meraviglioso di costa siracusana, sperando di essere creduto è tutelato. Dopo il licenziamento si è fatto protagonista anche di  forme estreme di contestazione e protesta incatenandosi ai cancelli dell'azienda o protestando a Roma sotto Montecitorio. Ivan potrebbe tirarsi indietro, rinnegare tutto, abbassare la testa e sottostare alla violenza dei clan e a quella cultura mafiosa che lui sta cercando in ogni modo di tenere lontana dai suoi figli e dalla vita della sua famiglia.

Per quel che concerne il procedimento penale si attende la conclusione del primo grado, che vede rinviati a giudizio colleghi e alcuni appartenenti ai clan, con accuse che vanno dalla tentata estorsione alla minaccia e alla violenza privata.
Un percorso sicuramente ancora lungo e difficile che, nel frattempo, vede una famiglia in gravi condizioni  economiche, nella difficoltà di trovare un nuovo lavoro soprattutto in territorio siracusano. C'è anche stato il tentativo di lasciare tutto per andare addirittura in Valtellina, poi la voglia di tornare e di riavere quel posto di lavoro.

«La cosa che più fa soffrire è proprio il profondo senso di ingiustizia, il dover soccombere alla violenza», il mancato appoggio. «Molti vorrebbero farmi passare per "pazzo", per  visionario, con quella tecnica della delegittimazione che tutto offusca e rende poco credibile». 
C’è ancora un sistema che non riesce a tutelare chi si ribella al mondo mafioso. Non solo a Siracura, non solo in Sicilia. C'è un Paese ancora sotto scacco, dove sempre più la malavita si infiltra e cerca di dettare le regole del gioco.

La mafia dei colletti bianchi che, senza coppola e lupara, fa meno rumore ma più danno; quella mala che frequenta i salotti buoni e che manda la manovalanza a fare il lavoro sporco. Le denunce di Ivan Baio hanno portato anche alla sua audizione di fronte alla Commissione Parlamentare Antimafia, presieduta da Nicola Morra: uno spiraglio di luce in tanto buio.

La storia di Ivan Baio e della sua famiglia (una moglie tenace e forte, tre bambini amatissimi ed una anziana mamma guerriera e fragile allo stesso tempo) non finirà a breve. Il prossimo 21 maggio inizierà il processo di appello per la causa lavorativa: sarà confermato il licenziamento o sarà reintegrato in quella azienda che per anni è stata la sua “casa" e per la quale vorrebbe tornare a lavorare?

Il 28 maggio avrà inizio il processo penale. Continueremo a seguire questa storia, a dare voce a chi non accetta e non si piega alla violenza delle mafie. 

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2020-05-14 18:29:01

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