Qualche tempo fa, poco prima di questa disavventura comune, ho avuto modo di visitare una mostra di grande interesse, quella di Antonio Tramontano alla galleria “Impressioni” di Pesche.
Complice una serata rigida e un paesaggio pre-natalizio colmo di minuscoli bagliori, siamo saliti verso il piccolo borgo molisano prestando orecchio al silenzio dettato da case di pietra e da agore minuscole che si facevano largari impenitenti e inattesi sulla strada maestra. Fino a raggiungere quel meraviglioso edificio antico che l’intelligenza e la grazia di qualcuno aveva reso luogo di inedite osservazioni. La galleria “Impressioni” è in effetti un atto di generosa passione e di felice coraggio, testimonianza oltremodo di un pensiero che sostengo da tempo e apprezzo. L’arte è un luogo dell’altrove e pertanto è l’ovunque lungo il nostro rincorrere. Un “ovunque” non soltanto dell’anima ma effrazione spaziale, riserva periferica e pertanto esclusiva.
E’ pittore giovane Antonio Tramontano, eppure già colmo di indizi, di approvvigionamenti, di intuitive rimozioni. La mostra di Pesche ne è stata conferma munifica, per nulla ostentata nelle vocazioni identitarie. Mi è piaciuto innanzitutto, di quell’appuntamento, il “viaggio” a ritroso nel tempo suo, e non un camminamento predisposto per tappe evolutive come una sorta di necessaria e rassicurante biografia. L’esordio lo si raggiunge come epilogo confinato e non già quale prioritario incipit della storia. L’immagine-prima è quasi fortuita, affidata forse ad una figurazione esuberante, gremita di segni illustrativi, onirici , talvolta marcatamente surreali.
Ebbene, queste opere “introduttive” del suo fare pittura erano poste alla fine del viaggio (finanche lo spazio della galleria si inerpica per piani e logge, quasi a separarne idealmente le temporalità accatastate) relegate – più di altre – in un velato scrigno di memorie. Il loro riaffiorare mi è sembrato piuttosto un “rendere omaggio” alle armi deposte e sotterrate, un “angolo” testimoniale, ovvero una stazione di sosta abbandonata frettolosamente per aggrapparsi al treno in movimento. Non c’è traccia di quella condizione inaugurale, come se il distacco dal tempo giovanile rimarcasse un solco, un tempo, un luogo ora disabitati.
E allora, per cifre sempre meno “ravvisabili”, la pittura di Antonio Tramontano si è fatta – nel divenire – sudario di minuscoli e invasivi sintomi cromatici; di un colore distillato, fluido, lucente, eppure ramificato in stesure solo in apparenza monocrome. Immagini dilatate di pigmenti, affollati, serrati quasi a non lasciar fiato alla tela – o respiro – cosicché all’occhio che indaga. In verità, a ben guardare, le opere di Tramontano riservano – al di là dell’eloquente diffusione tonale – una più probabile matrice narrativa. Questa pittura illimite di microcosmi visivi definisce a mio avviso una sorta di celato orizzonte (o sipario) pronto a restituire, per sottili espedienti prospettici, una dimensione altra, inedita, discreta. E l’ingannevole saturazione del colore pare farsi nascondiglio, alveo, tutela di un mondo meno tangibile ed evidente.
Forse a Tramontano pittore interessano più gli spiragli d’ombra che la rassicurante immobilità del rosso, del verde, dell’indaco. E allora “gioca” a celarli, a nasconderli, a mimetizzarne le pieghe. O meglio, a garantirne l’essenza. Perché è il dubbio il “luogo nuovo”, profetico, intimamente accessibile dove praticare una vera denuncia riflessiva, dove rintracciare attese inedite e intendimenti. Sono le cosiddette “zone d’ombra” (appena avvertite negli immaginari “paesaggi” nebbiosi) a suggerire microscopiche rotte – indizi della confidenza – che affiorano solo a tratti all’occhio incerto. Al pari dello sguardo dell’aviatore che sorvola l’oceano alla ricerca di relitti; ma non sono carcasse disseminate quelle che Tramontano scruta tra i flutti di un mare straniero o negli interstizi di biacche e di cadmio opalescenti. Piuttosto residui di memorie più o meno remote, tracce esili ma preziose di una vera e propria “non omologazione”; gesti di vita, battiti tenui mai definitivamente soffocati.
Ecco, a me pare che il viaggio dello sguardo possa planare su queste distese e ricomporre una nuova geografia di segni, di enigmi, di possibilità. Osservando.
Antonio Tramontano, pittore nato a Pesche (Isernia), si è diplomato all'Accademia di Belle Arti di Napoli nel corso di Pittura del Prof. Raffaele Canoro. Docente di Arte e Immagine, in qualità di direttore artistico, ha curato e cura diversi eventi nella provincia di residenza, mentre nel 2008 ha curato le attività espositive per il I centenario ISA, Istituto Statale d'Arte di Isernia.
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2020-05-30 09:52:42
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