Quando parliamo di sicurezza ci riferiamo, in senso generico, alla consapevolezza che un individuo può avere di non essere oggetto di azioni pericolose, o quanto meno indesiderate. Uno stato fisico e psicologico di tranquillità, una sorta di confort zone individuale o collettiva, in dipendenza dello specifico elemento rispetto al quale dobbiamo sentirci sicuri.
La sicurezza, nell’ambito collettivo, diventa quindi un bene da garantire e salvaguardare per tutta la collettività attraverso una politica specifica ad essa mirata. Va da sé che tutti gli individui di buon senso aspirano a che il proprio Stato assicuri questo bene, giustamente classificato come primario.
Altro è, tuttavia, spacciare per “sicurezza” una legiferazione che mira a discriminare e a disumanizzare i rapporti sociali. Faccio riferimento ai cosiddetti “decreti sicurezza” emanati lo scorso anno dal governo allora in carica e ancora non modificati dall’attuale esecutivo.
I “decreti sicurezza” hanno legiferato – tra l’altro – in materia di immigrazione, con un taglio e una impostazione contrari rispetto a quella che storicamente è stata la vocazione umanitaria di accoglienza del nostro Paese. Essi hanno interessato diversi aspetti legati al fenomeno migratorio, in particolare ed in estrema sintesi, i salvataggi in mare, con le multe alle ONG che soccorrono i naufraghi, l’abolizione del permesso umanitario, il taglio dei fondi per i servizi nei centri di accoglienza e la chiusura di molte strutture.
La disumanità ravvisabile in un provvedimento che multa navi che salvano vite in mare non ha bisogno di sottolineature. È talmente evidente che si alza come un urlo nella notte a squarciare la coltre di indifferenza nella quale sembra precipitata la società italiana.
I provvedimenti emanati dal governo giallo-verde hanno di fatto scardinato il sistema dell’accoglienza dei migranti, un sistema che l’Italia aveva messo su nel corso degli anni e che da più parti era stato significativamente apprezzato per la sua efficacia nel garantire percorsi di inclusione e integrazione. Molti migranti prima dell’entrata in vigore dei decreti in parola, avevano intrapreso un percorso di integrazione, attraverso la frequenza di scuole di italiano, l’avvio di progetti lavorativi o di apprendistato. La mannaia abbattutasi sul complessivo sistema di accoglienza ha fatto sì che molti di loro si ritrovassero in strada, senza più un progetto di vita, in balia di organizzazioni malavitose pronte ad attirarli nelle proprie reti criminali e a sfruttarli.
In tal modo i cosiddetti “decreti sicurezza” altro non hanno fatto se non produrre insicurezza, sia nei migranti che nei cittadini italiani. Sembrerebbe che l’obiettivo dell’esecutivo dell’epoca fosse proprio quello, in modo da far coincidere la realtà con la propaganda.
Infatti, sul tema immigrazione questo paese non riesce proprio a scrollarsi di dosso una narrazione di stampo propagandistico, fatta di slogan e luoghi comuni, che si possono facilmente smentire numeri alla mano. Per esempio, la tanto sbandierata invasione è rappresentata dai circa centottantamila arrivi tra il 2016 e il 2018 (anni in cui gli sbarchi sono stati più numerosi), che in percentuale sulla popolazione italiana rappresentano lo 0,3%. Secondo i dati della UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite sui rifugiati, nel 2017 sono stati oltre 68 milioni i rifugiati e migranti forzati nel mondo, provenienti per il 57% da tre Paesi: Sud Sudan, Afghanistan e Siria. Sempre secondo i dati forniti dall’agenzia internazionale, i Paesi che ospitano più rifugiati sono Iran, Uganda, Turchia e Libano. Quest’ultimo su una popolazione di circa 7 milioni di abitanti ospita oltre un milione di profughi, pari al 14% della popolazione.
E allora le nostre misere cifre che quadro disegnano? Certamente non l’affresco di una invasione di massa come quella che ci viene rappresentata da alcuni politici che ancora sperano di lucrare voti facendo leva sulla paura dell’altro, dello straniero. Ma l’elemento più preoccupante che emerge dall’analisi dell’approccio italiano verso il fenomeno migratorio, è purtroppo la crescente ondata di intolleranza e di xenofobia cui siamo costretti ad assistere. E qui entra in gioco l’elemento culturale, quella chiave di lettura dell’esistenza che riesce a determinare menti scevre da condizionamenti, capaci di sviluppare spirito critico e libero pensiero. In una società in cui viene sempre meno dato spazio alla cultura, all’istruzione (impressionanti i dati sull’analfabetismo funzionale nel nostro paese), la propaganda riesce a farsi spazio con facilità, aggrappandosi alle viscere della gente, a quella dimensione irrazionale che, priva dei necessari strumenti di analisi, diventa facile preda del qualunquismo.
E qui il cerchio si chiude, perché il popolo spaventato dalle minacce raccontate dalla propaganda chiede maggiore sicurezza e la ottiene con gli strumenti di cui abbiamo detto e che, in definitiva, finiscono per produrre altra insicurezza, in un loop senza fine.
Tutto questo sarebbe già di per sé intollerabile, ma lo diventa in misura esponenziale se ci soffermiamo su un dato essenziale: stiamo parlando di persone, di esseri umani che fuggono da vite impossibili da vivere nelle condizioni date, gente che affronta viaggi disperati, disseminati di orrore e dolore. Persone in cerca di sicurezza, di certezze, di normalità. Persone alle quali stiamo invece rispondendo con l’odio, l’intolleranza e la chiusura.
Auspichiamo a questo punto che la tanto sbandierata discontinuità che doveva caratterizzare il nuovo esecutivo rispetto a quello precedente, si concretizzi nel più breve tempo possibile nello smantellamento dei cosiddetti “decreti sicurezza” e nel riscrivere un sistema di integrazione e di accoglienza veramente degno di un paese civile.
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2020-10-01 11:54:44
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