Alla nostra mente e con un fremito di commozione e di orgoglio si presentano i nomi di patrioti già membri di questo ramo del Parlamento uccisi sotto il fascismo: Giuseppe Di Vagno, Giacomo Matteotti, Pilati, Giovanni Amendola; morti in carcere Francesco Lo Sardo e Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di prigionia; spentisi in esilio Filippo Turati, Claudio Treves, Eugenio Chiesa, Giuseppe Donati, Picelli caduto in terra di Spagna, Bruno Buozzi crudelmente ucciso alla Storta.
I loro nomi sono scritti sulle pietre miliari di questo lungo e tormentato cammino, pietre miliari che sorgeranno numerose durante la Resistenza, recando mille e mille nomi di patrioti e di partigiani caduti nella guerra di Liberazione o stroncati dalle torture e da una morte orrenda nei campi di sterminio nazisti.
Recano i nomi, queste pietre miliari, di reparti delle forze armate, ufficiali e soldati che vollero restare fedeli soltanto al giuramento di fedeltà alla patria invasa dai tedeschi, oppressa dai fascisti: le divisioni «Ariete» e «Piave» che si batterono qui nel Lazio per contrastare l'avanzata delle unità corazzate tedesche; i granatieri del battaglione «Sassari» che valorosamente insieme con il popolo minuto di Roma affrontarono i tedeschi a porta San Paolo; la divisione «Acqui» che fieramente sostenne una lotta senza speranza a Cefalonia e a Corfù; i superstiti delle divisioni «Murge», «Macerata» e «Zara» che danno vita alla brigata partigiana «Mameli»; i reparti militari che con i partigiani di Boves fecero della Bisalta una roccaforte inespugnabile.
Giustamente, dunque, quando si ricorda la Resistenza si parla di Secondo Risorgimento. Ma tra il Primo e il Secondo Risorgimento vi è una differenza sostanziale. Nel Primo Risorgimento protagoniste sono minoranze della piccola e media borghesia, anche se figli del popolo partecipano alle ardite imprese di Garibaldi e di Pisacane. Nel Secondo Risorgimento protagonista è il popolo. Cioè guerra popolare fu la guerra di Liberazione. Vi partecipano in massa operai e contadini, gli appartenenti a quella classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva visto i figli suoi migliori fieramente affrontare le condanne del tribunale speciale al grido della loro fede.
Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che su 5.619 processi svoltisi davanti al tribunale speciale 4.644 furono celebrati contro operai e contadini.
E la classe operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi durante l'occupazione nazista, scioperi politici, non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e lo straniero e centinaia di questi scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di sterminio in Germania, ove molti di essi troveranno una morte atroce.
Saranno i contadini del Piemonte, di Romagna e dell'Emilia a battersi e ad assistere le formazioni partigiane. Senza questa assistenza offerta generosamente dai contadini, la guerra di Liberazione sarebbe stata molto più dura. La più nobile espressione di questa lotta e di questa generosità della classe contadina è la famiglia Cervi. E saranno sempre figli del popolo a dar vita alle gloriose formazioni partigiane.
Onorevoli colleghi, senza questa tenace lotta della classe lavoratrice – lotta che inizia dagli anni '20 e termina il 25 aprile 1945 – non sarebbe stata possibile la Resistenza, senza la Resistenza la nostra patria sarebbe stata maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo avuto la Carta costituzionale e la Repubblica.
Protagonista è la classe lavoratrice che con la sua generosa partecipazione dà un contenuto popolare alla guerra di Liberazione.
Ed essa diviene, così, non per concessione altrui, ma per sua virtù soggetto della storia del nostro paese. Questo posto se l'è duramente conquistato e non intende esserne spodestata.
Ma, onorevoli colleghi, noi non vogliamo abbandonarci ad un vano reducismo. No. Siamo qui per porre in risalto come il popolo italiano sappia battersi quando è consapevole di battersi per una causa sua e giusta; non inferiore a nessun altro popolo.
Siamo qui per riaffermare la vitalità attuale e perenne degli ideali che animarono la nostra lotta. Questi ideali sono la libertà e la giustizia sociale, che – a mio avviso – costituiscono un binomio inscindibile, l'un termine presuppone l'altro: non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà.
E sta precisamente al Parlamento adoperarsi senza tregua perché soddisfatta sia la sete di giustizia sociale della classe lavoratrice. La libertà solo così riposerà su una base solida, la sua base naturale, e diverrà una conquista duratura ed essa sarà sentita, in tutto il suo alto valore, e considerata un bene prezioso inalienabile dal popolo lavoratore italiano.
I compagni caduti in questa lunga lotta ci hanno lasciato non solo l'esempio della loro fedeltà a questi ideali, ma anche l'insegnamento d'un nobile ed assoluto disinteresse. Generosamente hanno sacrificato la loro giovinezza senza badare alla propria persona.
Questo insegnamento deve guidare sempre le nostre azioni e la nostra attività di uomini politici: operare con umiltà e con rettitudine non per noi, bensì nell'interesse esclusivo del nostro popolo.
Onorevoli colleghi, questi in buona sostanza i valori politici, sociali e morali dell'antifascismo e della Resistenza, valori che costituiscono la «coscienza antifascista» del popolo italiano.
Questa «coscienza» si è formata e temprata nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza, è una nostra conquista, ed essa vive nell'animo degli italiani, anche se talvolta sembra affievolirsi. Ma essa è simile a certi fiumi il cui corso improvvisamente scompare per poi ricomparire più ampio e più impetuoso. Così è «la coscienza antifascista» che sa risorgere nelle ore difficili in tutta la sua primitiva forza.
Con questa coscienza dovranno sempre fare i conti quanti pensassero di attentare alle libertà democratiche nel nostro paese.
Non permetteremo mai che il popolo italiano sia ricacciato indietro, anche perché non vogliamo che le nuove generazioni debbano conoscere la nostra amara esperienza. Per le nuove generazioni, per il loro domani, che è il domani della patria, noi anziani ci stiamo battendo da più di cinquant’anni.
Ci siamo battuti e ci battiamo perché i giovani diventino e restino sempre uomini liberi, pronti a difendere la libertà e quindi la loro dignità.
Nei giovani noi abbiamo fiducia.
Certo, vi sono giovani che oggi «contestano» senza sapere in realtà che cosa vogliono, cioè che cosa intendono sostituire a quello che contestano. Contestano per contestare e nessuna fede politica illumina e guida la loro «contestazione». Oggi sono degli sbandati, domani saranno dei falliti.
Ma costoro costituiscono una frangia della gioventù, che invece si orienta verso mete precise e che dà alla sua protesta un contenuto politico e sociale. Non a caso codesta gioventù si sente vicina agli anziani antifascisti ed ex partigiani, dimostrando in tal modo di aver acquisito gli ideali che animarono l'antifascismo e la Resistenza.
Sandro Pertini
Discorso alla Camera del 25 aprile 1970
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2021-04-13 14:32:05
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