Ed eccomi qui, inerme, dinanzi a questa pagina Word vuota, pronta a mettere nero su bianco ciò che al momento, sembra ancora non aver assunto una forma.
A distanza di poche settimane dal mio esordio, avverto in me un serbatoio di emozioni che non sono in grado di definire: un tumulto di sensazioni acerbe, caotiche, impregnate di un'ingenuità a dir poco lapalissiana, appurato che generalmente, alla veneranda età di 31 anni si inizi a guardare le cose con occhi diversi, più maturi e sicuramente più pragmatici di quelli di una ventenne appena affacciatasi alla vita. O almeno questo è ciò che ci si aspetta da una donna adulta.
Invece no! A pochi giorni dall'uscita del mio secondo libro "Tutto ciò che sono" non posso fare a meno di lasciarmi travolgere da questo turbinio impetuoso di emozioni che con maestria e con un savoir-faire quasi sfrontato, si innescano imperturbabili nella mia mente, lasciando estinguere la razionalità e il buonsenso.
Vorrei potervi abbracciare uno ad uno e trasmettervi la mia gioia e l'impeto fragoroso di una rivalsa tanto auspicata, sentimenti che sono il frutto di un dolore trattenuto dentro troppo a lungo, di fatidici istanti devastanti in un clima di violenze ed abusi. Ed è un'impresa ardua riuscire a manifestarli senza scadere nella puerilità più assoluta.
Forse non dovrei esultare prima del tempo.
Forse dovrei darmi una calmata.
Forse è ancora presto per gridare “alla vittoria!”.
Non faccio che invogliare me stessa a maturare pazienza, a dosare le emozioni o magari, attendere che il mio libro venga innanzitutto pubblicato, sfogliato, letto, giudicato, criticato o magari anche odiato fino ai limiti dell'impossibile. Ma non riesco a gestire la frenesia, il fervore e l'impeto di un sentimento di rivalsa che fino a qualche mese fa, prometteva di essere nient'altro che un sogno lontano, destinato a rimanere in un cassetto in stato di putrefazione.
"Vedrai, prima o poi si avvera!" mi son detta.
L'ho ripetuto a me stessa almeno un milione di volte, ma l'ho fatto con la certezza, quasi del tutto scontata, che il mio desiderio non avrebbe mai trovato alcuna concretizzazione, o almeno non in questa vita. Non in una società in cui la manifestazione identitaria, sessuale ed intellettuale di una donna sono ancora un tabù e il soffitto di cristallo resta sempre – a dispetto del progresso e delle ere – uno degli ostacoli più insormontabili che un essere umano adulto di sesso femminile, possa mai incontrare nel corso della propria vita.
Proprio per queste ragioni, oggi mi sento FELICE!
Sono felice perchè sento di aver raggiunto un traguardo importante. Sono felice perchè tutte le volte che mi è stato detto "resta con i piedi per terra", "non viaggiare troppo di fantasia", "troppa ambizione, uccide", "è difficile", ho continuato a tessere le mie ali, pronta a volare sempre più in alto, al di là di ogni limite invalicabile. Sono felice perchè ho avuto il coraggio di sperare, lottare, osare, abbracciando le mie utopie, ma soprattutto senza precludermi la possibilità di realizzarle.
E l'ho fatto nonostante fossi ben cosciente che avrebbero potuto farmi male fino ad uccidermi. Nonostante sapessi che avrebbero potuto trasformarsi in illusioni, il cui macigno avrebbe schiacciato prepotentemente i miei sogni e le mie speranze taciute. Sono felice perchè tra milioni di autori, probabilmente anche più talentuosi e qualificati di una qualunque scrittrice emergente di provincia, una casa editrice come Europa Edizioni – che per inciso, è nota per aver pubblicato personaggi di grande spessore come Margherita Hack, Simona Izzo, Barack Obama, Alda Merini e Giorgio Napolitano – ha deciso che la sofferenza conglobata nei miei scritti, dovesse avere finalmente uno scopo, un ruolo funzionale; che meritasse di essere letta, ascoltata e messa al servizio di voci di donne le cui esperienze, al di là della loro drammaticità, sono rimaste inascoltate; che tanto dolore aveva bisogno di assumere una nuova forma e di essere restituito al mittente nell'attesa che a me, venisse restituita una dignità ormai defraudata.
Sono felice perchè tutto ha un prezzo e molto probabilmente ne ha avuto uno anche il mio dolore. Perchè spesso, la colpa non è del Karma che ci fa pagare per degli errori mai commessi e neanche di una forza superiore che si accanisce sulle nostre vite, arrogandosi il diritto di mutare il nostro cammino. Siamo noi, gli unici ad avere la libertà decisionale sulla nostra vita ed è sulla base di quelle scelte che delineiamo il nostro destino.
Siamo noi a scrivere la nostra storia e a decidere se essa avrà un ruolo determinante o salvifico per noi e per gli altri, se sarà una terapia riabilitativa oppure si limiterà ad essere un mero diversivo per sfuggire al dolore. Volevo che il mio, servisse a qualcosa; che in qualche modo non andasse sprecato e che a dispetto dei drammi e delle intemperie che mi hanno vista protagonista di una battaglia legale intrisa di abusi, violenze, manipolazioni psicologiche, rivittimizzazione e una propaganda mediatica tossica, sempre pronta a puntare il dito contro le donne, riuscisse ad essere da esempio per tante altre vittime, costrette a vivere i medesimi soprusi.
Tuttavia, ergersi a paladine e rendersi – in un automatismo quasi fraudolento – punto di riferimento in una battaglia che vede morire ogni 72 ore una donna su tre, implica anche un senso di responsabilità e un impegno costante. Implica sofferenza, dolore, consapevolezza, sacrificio e una dose non indifferente di empatia. Serbatoi di empatia!
Farsi portatrici di un messaggio che potrebbe cambiare, nel bene o nel male, la vita di una donna, o restituire un‘identità a chi non ne ha più una, significa andare contro corrente, travalicare i pregiudizi, scendere in piazza, ridefinire i ruoli, rovesciare i paradigmi e combattere sul territorio nemico in nome della propria libertà. Significa avere il coraggio di ottemperare alle loro aspettative, ma anche di deluderle. E per una volta, per la prima volta nella mia vita, posso affermare con orgoglio di non aver fallito.
Non faccio che piangere, ridere, urlare, esultare anche in maniera bislacca per questo mio nuovo percorso editoriale che non è solo il frutto di un semplice lavoro creato a tavolino, in virtù di una possibile carriera artistica. "Tutto ciò che sono" è anche il riflesso incondizionato di ciò che ero, che sono stata e che non ho intenzione di essere mai più.
É il frutto di un percorso tortuoso, fatto di ostacoli, trionfi e ricadute.
E' il riverbero di una bambina ingenua, a tratti ribelle e talvolta remissiva, costantemente bisognosa di affetto, amore e attenzioni.
L'ho osservata, amata, abbracciata forte, sebbene in alcuni momenti, si lasciasse abbattere dagli ostacoli della vita. Ma le ho anche urlato addosso, l'ho schiaffeggiata, l'ho punita e le ho imprecato contro, fino a farle credere di non avere alcun valore. Le ho teso la mano, ma ho anche lasciato che cadesse a terra. L'ho accarezzata, idolatrata, ma anche guardata con giudizio, con la presunzione di chi é convinto che non sia già sufficiente quello degli altri. Le ho detto “alzati!” poi “fermati!” e subito dopo “guarda avanti!”, ma non ho mai, mai avuto il coraggio di lasciarla sola.
Oggi sono qui, pronta a stringere una tregua e a suggellare con lei, un patto di sempiterna alleanza. Oggi ho intenzione di perdonarla per tutto il male che si è lasciata fare, per quello che io stessa ho provato a farle e per tutte le volte che le ho permesso di credere di essere sbagliata e mai all'altezza delle mie aspettative. Voglio perdonarla per averle permesso di dubitare di se stessa; dubbi che hanno fatto sì che vivesse relegata ai margini di una società che al primo segnale di resa è pronta a sbatterti addosso tutte le tue debolezze e vulnerabilità, facendoti credere di essere l'anello debole di un universo di sistemica e artefatta perfezione. Voglio dire a quella bambina che ho imparato molto da lei e che é proprio grazie al suo apporto che oggi, non temo più le aspettative sociali, ancor meno i (pre)giudizi.
É solo grazie a lei che ho avuto il coraggio di utilizzare le mie parole come scudo, mai come armi per ferire.
É grazie a lei che sono diventata la persona che da sempre, ho desiderato diventare: una donna che nonostante sia ancora un po' ammaccata, non ha mai nutrito la necessità di spegnere nessuno per poter brillare di luce propria.
Ma da questo momento in poi, ho bisogno di lasciarla andare, senza rancore né rabbia, senza rimpianti né rimorsi, perché ogni attimo in cui abbiamo sofferto, bramato, amato, pianto, maledetto il cielo fino ai limiti dell'indicibile, è stato un attimo degno di essere vissuto nell'assoluta pienezza. È il nostro bagaglio di esperienze totalizzanti che nella loro totalità (perdonate il gioco di parole), definiscono il nostro vissuto, anche a dispetto degli errori e di quelle scelte che ci fanno chinare il capo e sospirare “se solo tornassi indietro, non lo farei…".
Un errore non è altro che una lezione appresa. Una lezione che fa parte di un disegno. Di solchi tracciati su un foglio, di curve estese fuori dai margini, di linee sottili intervallate da sbavature di inchiostro e di parole caotiche, spesso prive di senso logico. Chi può precluderci il disordine, dopotutto? Chi mai potrà esimerci dalla possibilità di imparare? Chi può impedirci di perseverare nell'errore? Solo noi abbiamo il potere di controllare gli eventi e di decidere se trasformarli in un'ulteriore occasione per sbagliare oppure, se farne una lezione. Se non la impareremo alla prima, cosa importa? Nessuno ha il diritto di stabilire per noi, cosa sia giusto o sbagliato.
E voglio che tu sappia – cara IIaria – che non hai colpe. Non ne hai mai avute. Ti chiedo scusa per tutte le volte in cui le mie lacrime, hanno tracciato solchi sul tuo viso, lacerandolo come fossero lame ardenti. Ti comprimevano le guance, ti laceravano gli occhi, ma non ti impedivano comunque di brillare. Ti chiedo scusa per aver disprezzato il tuo corpo e per aver permesso che anche altri lo facessero; per il poco amore e per la dignità sporcata da gente senza scrupoli e priva di umanità. Ti chiedo scusa per non aver creduto abbastanza in te, per non essermi fidata e per aver lasciato che qualcuno approfittasse della tua fragilità per imporre il proprio esercizio di potere. Ti chiedo scusa per aver detto che non eri abbastanza brava, abbastanza bella, abbastanza magra, intelligente o meritevole di amore. Ti chiedo scusa per le parole dette male e per quelle pronunciate troppo in fretta, sempre e solo contro di te. E soprattutto ti chiedo scusa per non averti amata quanto avrei dovuto. Ed è proprio perchè che ti amo che oggi, io ti lascio andare. Ho una missione adesso. Ma sappi che il mio non è un addio, solo un arrivederci.
Non posso fare a meno di ringraziare e dedicare il mio libro a tutti coloro che in un modo o nell'altro, hanno contribuito alla realizzazione di questo progetto tanto auspicato.
I miei più sinceri ringraziamenti vanno alla mia famiglia – Giuliana Pistilli Chiara Di Roberto Alessandro Pennacchia – che ha creduto in me come nessuno ha mai fatto prima. Mi avete sostenuta, incoraggiata, presa per mano e asciugato le mie lacrime con la promessa che a tempo debito, il sole avrebbe spazzato via la tempesta, la cattiveria sarebbe stata restituita al mittente e le mie lacrime si sarebbero trasformate in diamanti, sui quali poter riflettere i miei sogni e dare un senso alla mia vita. Vi amo da morire.
A proposito di diamanti, voglio ringraziare un artista molto speciale. Un uomo meraviglioso che nel corso del mio travaglio legale ed emotivo, ha avuto un ruolo determinante, quasi salvifico, a dir poco fondamentale. Sto parlando di Cosimo Bachata Singer Cosimo Cosimo Esposito "El diamante de la Bachata" che attraverso la sua musica, mi ha restituito la voglia di vivere, la libertà e il diritto di poter esprimere me stessa attraverso l'arte, la scrittura e il ballo.
Le sue canzoni mi hanno aiutata a sopravvivere agli episodi di catcalling, sempre più frequenti dal giorno in cui decisi di denunciare ai media e alla stampa nazionale, le violenze subite. Grazie alla sua voce, in quei momenti nefasti, niente avrebbe più potuto nuocermi. Nessuna parola mi avrebbe più fatto del male. Un giorno mi disse “a prescindere dall'esito, tu per me hai già vinto!”. Da quel momento in poi, grazie a lui, decisi che avevo vinto.
Ringrazio le mie sorelle e compagne di lotta per tutto il supporto offertomi in questi due anni. Senza il vostro apporto, la vostra fiducia e il vostro affetto, tutto questo non sarebbe stato possibile. “Tutto ciò che sono” non è solo un invito all'introspezione, ma anche il grido feroce di chi non ha più voce. É il mio, é il vostro, quello delle nostre madri, delle vostre figlie, delle nostre sorelle, cugine, amiche; della vicina di casa, di quell'amica che non sentiamo da tempo e di quella con cui usciamo ogni giorno. Ma è anche quello della donna che non sopportiamo o nei confronti della quale, ci siamo prese il lusso di esprimere un giudizio troppo affrettato, a causa di un'oppressione millenaria che incoraggia competizione, anziché sorellanza.
Che voglia questo libro, essere per tutti.
Per tutti coloro che hanno il coraggio di fare un viaggio alla riscoperta di se stessi.
Solo una cosa vi chiedo, fatelo senza giudizio.
Ilaria Di Roberto