Credo che le parole più intense che accompagnano – pardon, che accompagneranno – la mostra di dipinti di Danilo Salvucci alla Pentacromo di Cassino giungano, quasi fatalmente, da uno degli artisti più significativi della “nuova figurazione” contemporanea, quel Normanno Soscia, “peintre magique” che da mezzo secolo ci fa dono di preziosi resoconti pittorici. “Danilo deve avere una buona scorta di colori” scrive l’artista di Itri “se poi ne fa un uso così sfrenato.
É un ingordo. Il suo piacere é l'accumulo. Ogni spazio della tela non deve non essere dipinto e sprecato. Come nella biblica Arca, Danilo ospita e infila di tutto.
Di più, a parer mio, ama inventare tipologie di paesi e città colmi all'inverosimile di case chiese torri, alberi e donne in fiore, grattacieli e minareti e facciate di basiliche e palazzi storici, visti o sognati, che par che danzino per averli pensati sghembi, perdendo i più quell' appiombo che li renderebbe stabili, credibili e abitabili.
C'è gioia nei suoi lavori e di tanta ne gode l'artista nel trasgredire la realtà cromatica di tutte le forme create e pitturate con una libertà che in genere si prende un bambino (certo, Picasso docet). I blu lapislazzuli, i rossi più accesi o i celesti più teneri sono per i suoi cieli che soffrono per niente del notevole traffico di animali aerei e oggetti misteriosi…”.
In effetti la narrazione pittorica di Danilo Salvucci pare offrirsi – o aprirsi – alle lucide considerazioni suggerite da Soscia: l’uso considerevole (quasi “ingordo” appunto) ma non sconsiderato del colore, pronto a colmare ogni interspazio della campitura, a domarne il respiro, a spingersi in ogni ipotetico recesso, a revocare qualsivoglia stazione di sosta.
Una “toponomastica della inosservanza” quella che ribadisce Salvucci pittore, affidando a improponibili equilibri la costruzione di città “calviniane”, prive di vie – talvolta – eppure ricche di occhi e di ascolti; legate in pile di pietre colorate, gravate da pesi insostenibili e poi, all’improvviso, lievi come ali.
E un “bestiario” di ombre e bagliori in primo piano o su crinali orfani di una rassicurante profondità. In questo incedere “di traverso” la poetica di Salvucci ci fa dono – continuamente – di minuscole ma preziose agore di ri-pensamento.
Qui troveremo sentore dell’immaginifico, dell’utopia, del riso. E perché no? Del gioco.
Elisir – opere di Danilo Salvucci – Sede Pentacromo – Cassino – 6 maggio ore 17.30
uploads/images/image_750x422_626edd3d51376.jpg
2022-05-03 11:30:01
37