Le parole che Giuseppe Tomasi fa pronunciare, in un intenso faccia a faccia con l’inviato del Governo sabaudo, a Don Fabrizio Principe di Salina restano ancora oggi il cuore della questione siciliana.
La Sicilia, forse mai, come in questo rovente luglio, ha mostrato drammaticamente la sua disperata e disperante situazione. Tormentata dal caldo africano, con mille incendi che l’hanno arsa in un gigantesco Autodafé, è tornata d’improvviso nel suo cupo passato, con le sue città private dell’acqua e dell’energia elettrica. A Catania un banale cavetto elettrico ha mandato in fiamme l’aerostazione, mentre gli addetti non riuscivano a fare altro che restare immobili nel trionfo dell’inettitudine.
Il cielo sopra Palermo è nero, avvelenato da una gigantesca nube tossica che scarica diossina sulla città, mentre gli amministratori non riescono a fare altro che invitare i cittadini a star chiusi a casa.
E poi le tragedie ormai endemiche: le reti stradali e autostradali disastrate, le ferrovie assai spesso a binario unico, con tratti non ancora elettrificati, la distribuzione dell’acqua con perdite terrificanti, la rete elettrica che si scioglie a causa del caldo, nonostante i fondi stanziati per renderla resiliente.
Ebbene, in un Paese normale si parlerebbe di questi temi. Si ragionerebbe sul fare. Da noi no!
Da noi si parla del Ponte sullo Stretto.
Senza il Ponte non si può far nulla, col Ponte si può far tutto. Ergo non essendoci il Ponte, siamo giustificati a non fare niente. Il Ponte dunque, la sua figura quasi mitologica, è lo strumento principale per ”non fare”. Per garantire il lungo sonno dei siciliani. Sappiamo tutti che il Ponte non si è fatto e non si farà. Farlo in una delle zone a più alto rischio sismico del pianeta è una follia assoluta; i costi sarebbero altissimi e i tempi lunghissimi.
Assai più logico, rapido ed economico, sarebbe fare ciò che aveva ipotizzato il Governo Draghi: ammodernamento dei porti di Villa San Giovanni e Messina e messa in linea di moderni traghetti veloci capaci di imbarcare interi i convogli dell’Alta Velocità.
Ma questo non ha appeal elettorale, non colpisce l’immaginario e soprattutto ha la gravissima pecca di essere realizzabile.
Tante altre cose si potrebbero fare e anche in tempi assai più rapidi dell’ipotetica costruzione del Ponte. Si potrebbe portare l’Alta Velocità fino a Reggio Calabria e da Messina a Catania e a Palermo. Si potrebbe rifare la rete autostradale siciliana, come si è fatto per la Salerno – Reggio Calabria, completando anche l’anello sud est. Si potrebbero fare investimenti per ridurre le perdite degli acquedotti siciliani…
Ma manca il Ponte e dunque non si fa nulla. Il fare – come scriveva Tomasi da Lampedusa – è il vero nemico. Per questo probabilmente in Sicilia si promuove sempre una classe dirigente corrotta, ignorante, compromessa, ma soprattutto incapace.
L’incapacità è la prima dote richiesta per ricoprire un posto di responsabilità in Sicilia. Guai se non fosse così. Potrebbe verificarsi la sventura di avere un sindaco, un assessore, un manager pubblico o persino un Presidente della Regione capace di fare qualcosa e questo non sarebbe tollerabile. Siamo in Sicilia, mica in Svezia. Qui si vuol dormire e, nelle brevi pause di veglia, gustare una granita, un caffè freddo, lamentandosi del triste abbandono in cui versa la terra più bella del Mondo e, dopo essersi lamentati per bene, tornare beatamente a dormire.
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2023-08-03 21:12:37
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