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I ‘giudici comunisti’ arrivano fino alla Corte Costituzionale

La decisione della Consulta che affossa, in parte, la legge sull'autonomia differenziata

by Antonino Schilirò
16 Novembre 2024
in Attualità
Reading Time: 5 mins read
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È di giovedì 14 novembre la decisione della Corte Costituzionale, dopo i ricorsi presentati dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania e gli “atti di intervento ad opponendum” delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, in merito alla legge sull’autonomia differenziata.

“La Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.”

Secondo, appunto, il Collegio,

“l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio.”

Peri Giudici

“la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni. In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini.”

La Corte nell’esaminare, quindi, i ricorsi delle regioni

“ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge:

  • la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;
  • il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
  • la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;
  • il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;
  • la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
  • la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;
  • l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.”

I Giudici dell Corte, inoltre, hanno

“interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge:

  • l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;
  • la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;
  • la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
  • l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;
  • la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari.”

Infine, spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità,

“colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge. La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale.”

Con queste motivazioni la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittime alcune disposizioni in merito alla legge Calderoli. Visto il perenne attacco da parte del governo e della maggioranza alla magistratura, definendoli comunisti e contro l’Italia, la domanda sorge spontanea: questi “giudici comunisti” sono arrivati fino alla Corte Costituzionale?

Vediamo se hanno il coraggio di attaccare, come è avvenuto dal governo per la questione migranti-Albania o come ha fatto Salvini per il suo processo, i magistrati. L’unico atto positivo di questa battaglia sono state le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a seguito dell’attacco di Elon Musk ai giudici italiani, dimostrandosi, in questo caso, lui sì un vero patriota e difendendo l’Italia a confronto di altri che sono patrioti a parole e servili all’America e a Musk nei fatti.

Altro intervento importante del Presidente della Repubblica in occasione del venticinquesimo anniversario dell’Osservatorio Permanente Giovani – Editori:

Più volte mi è avvenuto di promulgare una legge che non condivido. Che ritengo sbagliata, anche inopportuna. Ma è stata approvata dal Parlamento, dalla Camera e dal Senato, e io ho il dovere di promulgarla.

Soltanto in un caso posso non farlo: quando rilevo che in quella legge, in quel testo approvato dalle Camere vi sono evidenti contrasti con la Costituzione, evidenti incostituzionalità.

In quel caso ho il dovere di non promulgare. Ma devono essere evidenti: soltanto un dubbio di conformità alla Costituzione, di contrasto con la Costituzione, non mi abilita a non promulgare, perché usurperei i compiti che sono di un altro organo che è la Corte costituzionale.

Soltanto in quel caso posso. Ma la non promulgazione ha un limite di efficacia. Come dice l’articolo 74 della nostra Costituzione, il Capo dello Stato può non promulgare la legge, rimandarla alle Camere, ma se queste la riapprovano deve obbligatoriamente promulgarla.

Quindi quel che mi hai chiesto capita frequentemente, ma il mio dovere è svolgere i compiti che mi assegna la Costituzione, anche su cose che non condivido. Perché la volontà politica nel campo legislativo la esercita il Parlamento, non il Capo dello Stato.

Ogni tanto sentirete dire, anche leggere o ascoltare, nei giornali e nei telegiornali, appelli al Presidente della Repubblica: “Non firmi questa legge perché è sbagliata”, oppure “l’ha firmata vuol dire che la condivide”. Tutti e due sbagliano. È come se vivessero ancora con lo Statuto Albertino.

 

 

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Antonino Schilirò

Appassionato di politica e lotta alle mafie conduco, insieme al giornalista Giuseppe Notaro, la rubrica online sui social "Informazione Antimafia". Responsabile comunicazione dell'associazione Dioghenes Aps, con sede distaccata aperta a Maletto (CT). Inviato dell'emittente televisiva siciliana Telemistretta

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