Il 12 febbraio si è conclusa in Cassazione la vicenda giudiziaria di Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace. Respinti tutti i ricorsi contro la sentenza di appello Lucano è stato condannato, solo, a 18 mesi di carcere (pena sospesa).
Condanna per un singolo episodio di “falso” relativo ad una delle 57 delibere contestate. Cadute, quindi, tutte le altre accuse e smontato definitivamente l’impianto accusatorio contro il “modello Riace”, non c’era nessun sistema, nessun business dell’immigrazione, nulla di tutto quanto dai tempi del governo Gentiloni-Minniti passando per il Conte-Salvini-Di Maio e i successivi alcune parti del mondo politico avevano propagandato. Dopo il “sistema Bibbiano” che sistema non era crolla, così, un altro mito della propaganda mediatica e politica.
Ci sarebbe molto da riflettere e analizzare su quanto accaduto in questi anni e come si possono montare teoremi giudiziari nell’Italia del XXI secolo. E c’è tantissimo di taciuto, nascosto, omesso. Sulla pelle di persone, parola quanto mai scandalosa in quest’Italia. Il “modello Riace” non era solo Mimì Capatosta, ci sono volti, vite, esseri umani che in questi anni sono finiti nei fascicoli giudiziari, che hanno visto il loro destino calpestato e buttato in pasto a leoni (come in moderni Colossei) mediatici e politici.
Tra loro c’è una ragazza, dimenticata in queste ore, e la cui morte è una ferita che sanguina ancora delle coscienze civili e umani. Quella ragazza è Becky Moses. Venduta in Nigeria ai trafficanti, transitata per i lager libici giunta in Italia era finita nelle grinfie della criminalità organizzata e fu costretta alla prostituzione. Tra i tanti episodi contestati a Mimmo Lucano c’è stata anche la concessione della carta d’identità a Becky Moses.
A norma di legge Becky Moses non avrebbe potuto ottenere la carta d’identità e, dopo il diniego alla richiesta d’asilo, non poteva rimanere ospite dei progetti di accoglienza a Riace. Nessuna legge ha impedito, ha donato la forza di impedire, che finisse nel ghetto di San Ferdinando, vicino Rosarno. Dove fu uccisa dal rogo scoppiato nella notte tra il 27 e il 28 gennaio 2018.
Nigeria, Libia, Riace, Rosarno. Quattro luoghi hanno segnato gli ultimi anni di sopravvivenza di Becky Moses. Tutti e quattro ci raccontano molto dell’Italia di oggi, delle politiche, delle leggi e della società. Finita nelle mani dei trafficanti, lo snodo della sua vita è avvenuto in Libia. Il non Stato (il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e dall’Italia non ha il consenso di larga parte della popolazione, è contrapposto ad un altro “governo” e non esiste in oltre la metà del Paese) sostenuto dall’Italia, con cui tutti i governi hanno fatto accordi e che si regge su milizie e trafficanti. Anni fa in Italia fu accolto con tutti gli onori Bija, ucciso in un agguato lo scorso 1° settembre, nonostante la marea di denunce internazionali contro di lui.
La vicenda Almasri è cronaca di queste settimane e, dalla voce del conduttore della “terza camera dello Stato”, abbiamo scoperto che l’Italia ha trattato con lui già nel 2016. Petrolio e migranti sono pedine di un gioco a scacchi internazionali, di interessi che non contemplano migliaia di vite come Becky Moses. Rapita, torturata e incatenata a norma di legge. In Italia è rapita, sfruttata e schiavizzata dal business disumano più antico della Storia. Difeso e alimentato da larghe fette della società, ogni anno i numeri di chi paga per stuprare e sfruttare sessualmente vittime della criminalità organizzata è altissimo. E il consenso a favorire sempre più questo business, legalizzando anche quel che già non lo è (la legge Merlin andrebbe letta prima di commentarla e proporre di modificarla), è trasversale. A norma di legge fu cacciata da Riace, fu allontanata e spedita nel ghetto in cui ha trovato la morte.
Becky Moses cercava giustizia ma trovò la legge, parafrasando la celebre canzone di De Gregori. E a norma di legge ha trovato la morte.