Dal 2020 a oggi, l’Italia ha attraversato un ciclo comunicativo intenso ma sbilanciato sui fondi strutturali europei. Prima la pandemia, poi il rilancio, infine la corsa al PNRR. In mezzo: spot, slogan, video emozionali, campagne social e manifesti. Si è parlato di resilienza, futuro, prossimità, coesione.
Ma ora che siamo nel 2025, a metà della nuova programmazione europea, è tempo di bilanci: cosa ha davvero funzionato? Chi ha comunicato bene? E chi ha solo venduto fumo?
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Autocelebrazione regionale
La comunicazione è stata spesso usata per rafforzare il consenso politico, con immagini trionfalistiche e narrazioni prive di critica. Pochi strumenti per comprendere come accedere ai fondi, molti contenuti utili solo alla visibilità di chi governa. -
Mancanza di trasparenza
In cinque anni non è mai esistito un sistema nazionale integrato per monitorare in tempo reale l’uso dei fondi. Le Regioni si sono mosse in ordine sparso. I dati disponibili sono spesso incompleti, tecnici, disorganici. -
Partecipazione solo evocata
La parola “partecipazione” è stata al centro delle narrazioni, ma raramente trasformata in pratica. Pochi bandi partecipati, pochi percorsi di co-progettazione, pochissima rendicontazione verso i cittadini.
Ci sono state buone pratiche. In Emilia-Romagna, in Trentino, in parte della Toscana. Alcune Regioni hanno sperimentato podcast, laboratori nelle scuole, assemblee civiche locali, progetti di cittadinanza attiva.
Ma nel Sud, salvo rare eccezioni, le campagne sono rimaste cartacee, impersonali, rituali. Senza strumenti di valutazione pubblica. Senza voce ai territori.
Ad aprile 2025, mancano ancora:
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un sistema pubblico di valutazione dell’impatto comunicativo
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standard minimi di trasparenza e accountability
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coinvolgimento effettivo dei media locali, delle scuole, delle università
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una strategia nazionale coordinata, capace di superare le distorsioni regionali
Intanto, la Commissione UE ha annunciato nuovi strumenti di monitoraggio e verifica sulla qualità della comunicazione pubblica. L’Italia — ancora una volta — rischia di arrivare impreparata.
Dopo cinque anni di parole, i cittadini vogliono i fatti. Se i fondi europei servono davvero a ricucire territori e persone, non possono essere comunicati come uno spot da campagna elettorale.
Serve un’informazione trasparente, accessibile, coinvolgente. Perché i fondi UE non sono premi da rivendicare, ma diritti collettivi da conoscere, monitorare, difendere.
“Senza comunicazione, non c’è partecipazione. E senza partecipazione, la coesione è solo una parola vuota.”





