L’istituzione delle strade scolastiche, ovvero aree intorno alle scuole dove, durante gli orari di ingresso e uscita, consente di ridurre il traffico motorizzato per favorire la mobilità pedonale e ciclistica e, inerzialmente, di ridurre fino al 20% l’inquinamento.
Proprio per dimostrare come la qualità dell’aria abbia un impatto sulla salute dei bambini e come gli interventi di riduzione del traffico intorno alle scuole possono portare a benefici significativi in termini di miglioramento della qualità dell’aria, i ricercatori della Statale di Milano e del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario del Lazio hanno pubblicato uno studio su Environmental Research (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/40203976/.
La ricerca è stata realizzata a partire dai dati sulla concentrazione di NO2 (biossido di azoto) raccolti durante la campagna “NO2, No Grazie!” svolta da Cittadini per l’aria nel febbraio 2023, che ha visto la partecipazione di migliaia di cittadini a Milano e Roma, partendo dalle concentrazioni degli inquinanti rilevati di fronte a circa 2.000 scuole e sviluppando diversi scenari di intervento (https://www.cittadiniperlaria.org/no2-no-grazie-2023/)
Il team di lavoro scientifico, formato da Luca Boniardi, ricercatore del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università degli Studi di Milano, Carla Ancona e Federica Nobile del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario del Lazio, ha rilevato che, a Milano, la concentrazione media di NO2 durante la campagna era di 45,6 μg/m³ e intorno alle scuole di 44,4 μg/m³: applicando gli interventi di riduzione del traffico indicati nello studio ci sarebbero dei decrementi medi mensili tra 0,8 e 2,7 μg/m³, con punte fino a 11 μg/m³.
Anche a Roma la concentrazione media di NO2 era molto alta, di 38,6 μg/m³, con una media simile (38,7 μg/m³) intorno alle scuole. Applicando gli interventi previsti si vedrebbero riduzioni medie comprese tra 0,7 e 1,9 μg/m³, con punte fino a 16 μg/m³.
La ricerca mi spinge a richiamare l’attenzione di chi legge sui contenuti della Nuova Direttiva sulla qualità Aria Ambiente (AAQD, Ambient Air Quality Directive) 2024/2881. La Direttiva stabilisce obiettivi ambiziosi da rispettare entro il 2030 e che si avvicinano a quelli indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e per l’NO2 impone che non si possa superare la media annuale di 20μg/m³. L’OMS suggerisce anche un limite medio giornaliero a tutela della salute pari a 25 μg/m3 e, considerati i dati riportati nello studio, si evince come questi risultati fotografano una situazione di criticità ambientale. Va precisato che le indicazioni dell’OMS sull’impatto grave che gli inquinanti atmosferici esercitano sulla salute umana sono state, con il tempo, in parte recepite dalla normativa europea e nazionale. Tuttavia, per molti inquinanti regolamentati, rimangono e ancora lontani i limiti indicati dall’OMS rispetto a quelli previsti dalle norme europee.
Proprio per questo motivo è ancora più importante che, almeno i limiti vigenti, vengano rispettati.
Non dimentichiamo che l’aria pulita è molto più di un auspicio. È un diritto fondamentale (al pari dei diritti della personalità assorbito inevitabilmente dai più generali diritti alla vita, alla salute e all’integrità fisica), sancito dalla Costituzione italiana e da normative europee, che spetta a tutti e, come tale, va tutelato in quanto l’ambiente non è un bene strumentale al benessere umano bensì – e sarebbe bene che tutti legislatori ne tenessero conto – un valore autonomo.
Negli ultimi anni clamorosi casi giudiziari hanno impetuosamente richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica e del legislatore sulla necessità di assicurare adeguata copertura penale alle più gravi forme di aggressione all’ambiente, non agevolmente punibili nel quadro della normativa vigente sia perché atipiche rispetto alle fattispecie incriminatrici di pericolo astratto, sia perché difficilmente inquadrabili entro lo spettro applicativo di disposizioni codicistiche poste a tutela di beni contigui, ma diversi dal bene ambiente, come la vita, l’incolumità pubblica, la salute pubblica, la flora o la fauna.
L’autonomia dell’inquinamento ambientale nel panorama normativo segna oggi l’emancipazione del diritto penale dell’ambiente dalla sua tradizionale funzione accessoria al diritto amministrativo, e marca i confini con il diritto civile, nella logica di sanzionare le condotte di contaminazioni qualificate da note di offesa particolarmente significative.
L’inquinamento ambientale non si risolve solamente con le misure di repressione degli illeciti ma è necessario un impegno da parte della politica e degli amministratori volto alla formazione di una cultura del rispetto ambientale. Una cultura del rispetto ambientale si rivelerebbe anche, nel rispetto del principio di precauzione[1] come deterrente nei confronti della criminalità organizzata, la cui economia si fonda in misura notevole sui proventi derivanti dai reati ambientali.
Ridurre l’impatto che deriva dall’inquinamento atmosferico è possibile. Le opportunità e le soluzioni esistono, manca la volontà di dare risposte concrete. Se politici e amministratori – ad oggi in fallimento sistemico nell’adottare misure adeguate, sia in termini di tempestività che di efficacia, per porre sotto controllo il problema dell’inquinamento – hanno l’obbligo di assumere provvedimenti per salvaguardare la salute dei cittadini è ineludibile che l’opinione pubblica si attivi per pretendere il rispetto dei propri diritti fondamentali al rispetto dell’ambiente.
[1] In virtù del principio di precauzione, sancito dall’Articolo 191 del TFUE, una mancanza di certezza dei dati scientifici e tecnici disponibili non possono giustificare Stati ritardare l’adozione di efficaci e proporzionate misure per prevenire il rischio di gravi e irreversibili danni all’ambiente. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, “dove c’è incertezza circa l’esistenza o alla portata di rischi per la salute umana, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che la realtà e la gravità di tali rischi diventano completamente apparente” (Sentenza del 5 Maggio 1998, in Regno Unito / Commissione , C-180/96, EU:C:1998:192, paragrafo 99; e la sentenza del 5 Maggio 1998, in La Regina v Ministero dell’Agricoltura, della Pesca e dell’alimentazione e Commissioners of Customs & Excise, ex parte, National Farmers’ Union e Altri , C-157/96, EU:C:1998:191, comma 63).
Gli stati devono agire in sintonia con il principio di precauzione al fine di tutelare i diritti alla vita e all’integrità personale in caso di potenziale di danno grave o irreversibile per l’ambiente, anche in assenza di certezza scientifica. Gli Stati devono agire in conformità con il principio di precauzione al fine di prevenire la violazione dei diritti di persone fisiche nei casi in cui vi sono plausibili indicatori che un’attività può causare gravi e irreversibili danni all’ambiente, anche in assenza di certezza scientifica. Pertanto, anche in assenza di trattamenti individualizzati di certezza scientifica, ma dove ci sono elementi che consentono di presumere l’esistenza di un rischio significativo per la salute delle persone a causa di esposizione a livelli elevati di inquinamento ambientale, gli Stati devono adottare misure efficaci per prevenire l’esposizione a tale inquinamento.
Per questo motivo, la Corte ritiene che l’assenza di certezza scientifica circa i particolari effetti che l’inquinamento ambientale può avere sulla salute delle persone non può essere una ragione per cui gli Stati a rimandare o evitare l’adozione di misure di prevenzione, né può essere invocata come giustificazione per la mancata adozione di misure per la protezione generale della popolazione.