«Rifiuti: Abruzzo, da regione verde a terra dei fuochi. In 10 anni 16 incendi a ditte, discariche o aziende smaltimento», scrisse l’Ansa il 5 gennaio scorso. Il giorno prima un vasto incendio aveva colpito un’azienda a Villanova di Cepagatti.
Nel capitolo «Mafia&rifiuti», dell’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia, relativa al primo semestre 2019, si parla del sistema criminale che «coinvolge, trasversalmente, interessi diversificati» e le cui conseguenze «interferiscono sull’ambiente e sull’integrità fisica e psichica delle persone, ledendone la qualità della vita, con conseguenti rilevanti costi sociali», che saranno pagati «dalle prossime generazioni».
Un sistema che «si alimenta costantemente grazie all’azione famelica di imprenditori spregiudicati, amministratori pubblici privi di scrupoli e soggetti politici in cerca di consenso, nonché di broker, anche a vocazione internazionale, in grado di interloquire ad ogni livello». La DIA mette in guardia dal considerare solo i tradizionali clan mafiosi e camorristici, un’attribuzione che distrae l’attenzione dalla realtà più profonda di delitti d’impresa che intrecciano «condotte illecite di tutti i soggetti che intervengono nel ciclo, dalla raccolta allo smaltimento. Non solo elementi criminali ma anche imprenditori e amministratori pubblici privi di scrupoli» con la presenza di «aziende che, pur non riconducibili a specifiche consorterie, operano con condotte dolose finalizzate a incrementare i profitti attraverso il fraudolento contenimento dei costi di smaltimento».
In quest’ottica va posta l’attenzione agli incendi di rifiuti che avvengono in tante regioni italiane «da ricondursi alla necessità di smaltire grandi quantità di rifiuti da parte di aziende spregiudicate operanti in tutto o in parte abusivamente» e da «aziende di settore che, dopo avere acquisito sottocosto i rifiuti dalle società di raccolta, li smaltiscono senza il preventivo trattamento, in capannoni abbandonati poi dati alle fiamme» con l’obiettivo di massimizzare gli introiti o «nascondere, attraverso la distruzione degli scarti di lavorazione, produzioni non dichiarate». Un fenomeno criminale che crea «bombe ecologiche i cui futuri costi di smaltimento ricadranno interamente sulla collettività», incendi scatenati «per agevolare e mantenere la situazione di emergenza che obbliga le pubbliche amministrazioni ad intervenire con affidamenti diretti senza gare d’appalto o prorogare contratti in scadenza».
Un sistema criminale che ha mosso i suoi tentacoli in Abruzzo almeno dagli anni novanta quando la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, nella relazione approvata il 4 marzo 1999, la definì «geograficamente sita all'ideale snodo dei traffici tra nord e sud», «considerato di particolare interesse dalla criminalità organizzata la quale, nello specifico settore dei rifiuti, appare avere spostato il flusso dei traffici dalle rotte tirreniche nord-sud a quelle adriatiche» e dove giungono «traffici di rifiuti pericolosi prodotti nel nord dell'Italia, trasportati da imprese vicine alla criminalità organizzata, smaltiti in maniera illecita e distribuiti anche su altre aree del territorio nazionale».
Un sistema criminale che si è iniziato a delineare con le inchieste Eco, Ebano e Humus. La prima documentò che dal giugno 1994 al marzo 1996 i casalesi acquistarono rifiuti speciali derivati dalla produzione di metalli pesanti, tramite intermediari e con documenti falsi, in Piemonte e Lombardia per farli arrivare in centri di stoccaggio in Toscana, Umbria, Lazio e Abruzzo da dove venivano poi spediti in discariche abusive nelle province di Caserta, Benevento e Salerno. Un giro di rifiuti speciali e industriali provenienti dalla Lombardia, ma questa volta anche smaltiti nelle cave abbandonate della Marsica, fu al centro di Ebano nel dicembre 1996. E sempre nella Marsica trovavano approdo i rifiuti industriali dell’organizzazione criminale sgominata nel 1998 con l’operazione Humus: i Carabinieri e il Corpo Forestale dello Stato accertarono in soli 23 giorni l’arrivo di 440 tonnellate di fanghi provenienti da industrie di Caserta, Napoli, Frosinone, Rieti, Roma, La Spezia e Isernia.
La Commissione ecomafie definì quasi di scuola il caso dei rifiuti urbani del comune di Milano inviati in Abruzzo: «l'azienda municipalizzata di quel capoluogo non smaltiva direttamente in Abruzzo, atteso il divieto fissato da una legge regionale» ma «con una serie di appalti a società commerciali, dei quali si è interessata la procura presso il tribunale di Milano, incaricava le medesime società di dividere i rifiuti tra secchi ed umidi. Tutti i rifiuti erano, quindi, inviati per il trattamento e per la cernita in Abruzzo; una volta entrati nello stabilimento il rifiuto acquistava cittadinanza abruzzese e di conseguenza, per circa il 95 per cento, veniva smaltito come rifiuto in quel sito».
La relazione lanciò un vero e proprio grido di allarme: «sembra in via di accelerazione il tentativo, da parte della camorra campana e della mafia siciliana, di infiltrarsi nel tessuto economico e politico del territorio per il tramite di società di capitali costituite e rappresentate da interposte persone; ciò fa indubbiamente registrare un salto di qualità da parte della criminalità organizzata locale, che è sempre più presente nel tessuto economico regionale».
Secondo i commissari la regione aveva «una particolare appetibilità economica ed è oggetto di attenzione da parte dell'imprenditoria deviata e della criminalità organizzata, che in questo territorio ricercano nuove frontiere per investire il denaro proveniente dalle attività illecite».
Un salto di qualità che non si è esaurito con la fine degli anni novanta, tantissime sono le inchieste citate nella relazione parlamentare e negli anni successivi altre sono succedute, elencarle tutte è praticamente impossibile.
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2020-03-20 11:45:19
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