29 marzo, ora di pranzo, da telegiornali e agenzie stampa arriva la notizia che sono giunti all’aeroporto di Verona trenta medici provenienti dall’Albania per aiutare il personale sanitario che si sta strenuamente impegnando nel fronteggiare il drammatico dilagare del contagio da covid19.
Il primo ministro albanese Edi Rama ha commentato questo invio sottolineando che l’Albania non è un Paese «privo di memoria» e oggi non può «non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non abbandonano un amico in difficoltà» e che «l’Italia è casa nostra da quando i nostri fratelli e sorelle ci hanno salvato nel passato». Parole che riportano la memoria agli anni novanta e al 1991 quando centinaia di migliaia di albanesi giunsero in pochi mesi in Italia, era marzo anche quell’anno quando a Brindisi arrivarono almeno 25.000 persone e nell’agosto successivo oltre 20.000 sbarcarono in una sola volta a Bari. Tanti furono gli episodi di quegli anni in cui su entrambe le sponde del mar Adriatico la solidarietà e l’umanità, nonostante i rigurgiti di ben altro segno che già stavano avanzando, fiorirono.
Tra due settimane esatte sarà Pasqua che si avvicinava anche in un altro anno impresso nella memoria, quello del 1997 in cui il 29 marzo mancavano solo alcune ore. E il Venerdì Santo sul Mar Adriatico furono ore tragiche e in cui moltissimi persero la vita, le ore del naufragio della Kader i Radesh che affondò portandosi via 81 morti accertati mentre 34 albanesi furono salvati e incerto (tra i 24 e i 27) furono i dispersi. Nelle settimane precedenti, anche sulla spinta di alcuni grandi quotidiani che lanciarono ripetutamente titoli allarmistici sull’invasione in corso dall’Albania, il governo Prodi aveva deciso il primo (e finora rimasto unico) blocco navale anti immigrazione della storia italiana.
Il 28 marzo la Kater i Radesh, una nave di fabbricazione sovietica che era stata donata all’Albania, fu rubata da alcuni gruppi criminali che lucravano sulla disperazione di chi voleva giungere in Italia, durante il viaggio verso l’Italia venne intercettata intorno a metà pomeriggio ma non si fermò. Fu quindi presa in consegna dalla corvetta Sibilla che tentò alcune manovre di avvicinamento per intimare lo stop, durante queste manovre mentre la sera stava scendendo le due imbarcazioni si urtarono, la Kater i Radesh si ribaltò e in un quarto d’ora affondò completamente in quello che passò alla storia come la strage del venerdì santo. Il 29 marzo tutti i maggiori quotidiani italiani pubblicarono la notizia in prima pagina e due giorni in Albania fu un giorno di lutto nazionale. La Corte di Cassazione nel 2014 ha condannato con sentenza definitiva i comandanti di entrambe le navi, a 2 anni e 4 mesi quello della Sibilla e a 3 anni e 6 mesi quello della Kater, e imputò al Ministero della Difesa il risarcimento di due milioni di lire alle famiglie delle vittime per responsabilità civile.
Se ancora oggi 23 anni dopo è possibile ricordare il carico di morte del venerdì santo lo si deve soprattutto a due pugliesi indimenticabili, scrupolosi nel loro impegno sociale e nel giornalismo d’inchiesta al fianco delle vittime di tante tragedie, nello scrutare le pieghe della società e nel denunciare mafie, sfruttatori, potentati e la disumanità e la barbarie di potentati economici e politici: Dino Frisullo e Alessandro Leogrande, entrambi strappati troppo presto alla vita da terribili mali. Fondatore dell’associazione Senzaconfine, primo ad impegnarsi al fianco dei migranti che giungevano in Italia e in altre reti ed organizzazioni solidali convinto della necessità di guardare il mondo con gli occhi degli emarginati e degli impoveriti, Dino Frisullo si buttò subito a capofitto (come faceva per tante battaglie per la giustizia, dall’Italia al suo amato popolo curdo) al fianco dei superstisti e delle famiglie delle vittime del naufragio e senza lesinare fortissime critiche e accuse anche alle scelte del governo italiano. In un articolo
Alessandro Leogrande, giornalista e scrittore tra i più acuti ed un intellettuale sempre schierato con gli ultimi unendo all’inchiesta scrupolosa un’appassionante riflessione culturale e morale, intervistò familiari delle vittime e associazioni e raccolse molte testimonianze sia in Italia che in Albania, ha dedicato al naufragio della Kater i Radesh il libro «Il naufragio».
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2020-03-30 18:54:33
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