C’è un quadro dal titolo insolito, “Zucca a Maia More” dipinto da Ettore Gualdini nel 2009 a Brist, in Dalmacija. E’ una delle sue ultime opere e non è un caso che l’abbia realizzata in quella che amava definire drugi dom, la sua seconda casa.
A Brist era tornato in quell’estate del ripensamento accompagnato dal figlio Alberto. E aveva di nuovo vissuto il colore e il fiato di quel mare scoperto molti decenni prima, nella casa del pescatore di Brist, lungo il viottolo taciuto al vento, per le piccole scale di pietra che facevano girotondo e all’occhio rivelavano, nel cobalto, le isole di Hvar e Brac.
In questa sua drugi dom Gualdini vi tornava con la frequenza che l’innamorato rivolge alla sua amante, per strappi, per tensioni, per desiderio. Al di là del buio, della paura, del sangue, dei martiri, del dolore. La zucca di Maia More è una sorta di saluto clownesco, una uscita di scena colma di presagi, di piccoli indizi, di smarrimento e ironia.
C’è forse in questo quadro il rendiconto epistolare di un tempo trascorso – quasi per intero – a definire la sostanza della forma, e di questa, l’intimità del colore. Per luoghi e oggetti che diremmo “marginali” o privi di un protagonismo finanche estetico. D’altra parte tutta la pittura di Ettore Gualdini pare consumarsi in un “quartiere immaginifico” fatto di voci di strada, di radure e piante, di cieli invadenti, di oggetti (soggetti) perentoriamente “deposti”.
Come a ricomporre sulla tela, centimetro per centimetro, il fondamento del suo sguardo, dirottato più sui “sobborghi dell’umana specie” che sulle ingannevoli prospettive di un sentire distante.
Ma c’è soprattutto, in questa raccolta di opere “dalmate”, il filo conduttore capace di inseguire e legittimare l’intero percorso narrativo di Gualdini pittore laddove la stessa immagine degli anni ’70 – una sorta di abbagliante icona - viene poi “ripristinata e rivissuta ” ad ogni visita, ad ogni soggiorno, ad ogni abbraccio. Il “paesaggio iniziale”, quello scoperto e mai più ripudiato, si fa per Gualdini fabbrica di identità, di parole sommesse, di frenesia del racconto, di ragionamento. E nella casa di Brist finanche la “spartizione” del silenzio è un intervallo di riflessione o di semina.
La solitudo di Ettore Gualdini è un vero e proprio campo di ricerca, non già capitolo di sconforto e fuga ed è in quell’osservatorio dell’anima che tutto pare ridefinirsi come per alchimia bizzarra.
Sostando sulla temporalità dei dipinti di questa straordinaria raccolta capiremo che non è mutato il mare di Brist o il sentiero, non si è alterato l’orizzonte oltre le pietre di Hvar e Brac, non è scomparso il bagliore del cobalto all’alba di ogni giorno.
E’ maturato negli anni lo sguardo del pittore, il suo occhio penetrante, la conoscenza, l’impeto o il dolore, l’ascolto, il dubbio. La sua Storia, in breve. E ribadendo questa mutazione sulla tela il “paesaggio iniziale” si è fatto, in fondo, diario intimo di rotte notturne, quando la luce fa fatica ad emergere. (novembre 2014).
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2021-11-30 15:34:21
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