«Il capitano di corvetta Natale De Grazia è morto in maniera inizialmente misteriosa a 39 anni, solo nel 2012 è stato scoperto che era stato avvelenato.
Il comandante De Grazia investigava sulle navi sparite mentre trasportavano materiali come uranio impoverito e di forte interesse per gli ecocriminali. Non si parlava di ecoreati in quel periodo, non c’era la sensibilità che c’è oggi, ma lui già con la Procura di Reggio Calabria indagava sulla scomparsa di quelle navi e su quei traffici illegali. Natale De Grazia è il nostro eroe, un punto di riferimento.
Ci sentiamo piccoli di fronte al comandante Natale De Grazia, è fonte di ispirazione, cerco ogni giorno di ispirarmi a questa persona che è stata ligia al dovere e ha sempre cercato di investigare, indagare, per salvaguardare l’ambiente. L’ambiente non è un qualcosa di astratto ma è il nostro territorio, è la nostra casa.
Quindi è importante tutelarlo e noi come forze dell’ordine, grazie a vari interventi legislativi, riusciamo oggi ad avere degli strumenti contro gli ecocriminali».
La comandante della Guardia Costiera del Porto di Vasto Rossella D’Ettore ha condiviso con noi questo ricordo di Natale De Grazia in occasione dell’incontro a Vasto sui trent’anni del “Rapporto Ecomafie” di Legambiente in cui è intervenuta insieme a Gianluca Casciato, vicepresidente e responsabile affari legali Legambiente Abruzzo, Francesco Chiavaroli, direttore dell’area tecnica di Arta Abruzzo, Riccardo Fusaro, comandante del nucleo carabinieri forestali di Vasto, e Gabriele Barisano, assessore all’ambiente del comune di Vasto, moderati da Michele Ciffolilli, presidente del circolo del vastese di Legambiente.
«Il capitano Natale De Grazia è morto nel corso di una missione che avrebbe potuto portare all’individuazione di una nave prima del suo doloso affondamento, ma la sua morte in circostanze ancora da chiarire ha bloccato quella e tutte le altre indagini» ha ricordato IrpiMedia nell’inchiesta sulle “navi a perdere”
(qui l’inchiesta completa https://irpimedia.irpi.eu/navideiveleni-chi-cerca-muore-le-verita-sepolte-sulle-navi-a-perdere/) lo scorso 31 gennaio.
Sono almeno 90 le navi dei veleni affondate nel Mar Mediterraneo, navi cariche di rifiuti tossici di ogni tipo al centro dei traffici delle ecomafie, dei colletti bianchi dell’imprenditoria e la complicità di pezzi delle istituzioni. Una denuncia che appare lontana nel tempo, appartenere ad un’epoca lontana.
Ma così, probabilmente, non è. In un’intervista di Toni Mira, pubblicata da Avvenire nel 2017, l’allora presidente della commissione parlamentare ecomafie Alessandro Bratti rilasciò dichiarazioni in cui denunciò che così non era. «c’è ancora un traffico di rifiuti verso Paesi stranieri? Sicuramente sì […] Abbiamo verificato che esiste un traffico di rifiuti pararegolare, che riguarda numerosi porti europei verso il Nordafrica. Si tratta di traffici ‘regolari’, ma che poi, come abbiamo verificato, in alcuni casi regolari non sono. Vengono denunciati come materie prime e seconde e in realtà sono veri e propri rifiuti. […] Stiamo facendo una relazione proprio su questo traffico di rifiuti transfrontaliero dove racconteremo tutto. Ma non ci sono solo questi traffici. Di cosa vi state ancora occupando? – Dell’esportazione del Cdr, il combustibile da rifiuto prodotto in Italia, non smaltito nei nostri cementifici ma che va all’estero. Ci sono delle filiere verso il Marocco, il Portogallo, la Romania. Anche in questo caso ci sono state situazioni in cui i Paesi ‘riceventi’ hanno chiesto di fare delle ulteriori analisi perché hanno sospettato che il materiale non corrispondesse veramente alla descrizione cartacea, che invece di Cdr fosse rifiuto vero e proprio. […] Come si è globalizzata l’economia, così il malaffare. Il traffico di rifiuti, lecito e illecito, va ben oltre i confini, non è più un problema nord-sud Italia».
L’intervista venne pubblicata l’8 gennaio, il giorno prima Avvenire pubblicò l’intervista ad un ex agente dei servizi in cui si sostenne che tra Mauritania e Mali erano in azione «gli stessi personaggi» dei tempi del capitano Natale De Grazia e che enormi traffici bellici stavano spargendo l’ex arsenale di Gheddafi in «mezza Africa». Traffici di armi e rifiuti, il binomio criminale su cui stava indagando Ilaria Alpi quando fu assassinata in Somalia con l’operatore Miran Hrovatin.
Il 16 novembre 2013 un fiume in piena, oltre centomila persone, scese in piazza a Napoli contro il biocidio della “Terra dei Fuochi”, quel sistema capitalistico criminale (non un perimetro geografico) che ha avvelenato e ucciso compiendo una strage drammatica infinita con i veleni, i fumi e gli incendi di rifiuti tossici di ogni tipo interrati (e bruciati) dalla camorra. Qualche mese dopo sono morti, a causa di malattie contratte mentre stavano indagando sui traffici delle ecocamorre, Michele Liguori e Roberto Mancini.
Negli stessi mesi una nave carica di rifiuti partì dall’Abruzzo e, giunta in Romania, fu bloccata in porto per mesi, la spedizione ebbe per mesi altissima risonanza sulla stampa rumena che titolò ripetutamente su quella che definì “la nave dei veleni” italiana. La Romania respinse quel carico di ecoballe partito dall’Abruzzo e la nave venne dirottata in Bulgaria. Due anni dopo una nave di ecoballe partì sempre dall’Abruzzo destinazione Marocco. Fu fermata in porto perché lo Stato nordafricano chiese ulteriori analisi sulla qualità di quei rifiuti. Nel dicembre dello stesso anno fu un rapporto di Greenpeace a rendere noto che dopo quella spedizione, dall’esito infausto, il Marocco aveva sospeso l’arrivo di qualsiasi conferimento dall’Italia intera.
L’11 giugno Renzi aveva annunciato che entro tre anni sarebbero state rimosse le ecoballe da Giugliano. Il primo allarme, smentito poi da fatti e atti, in Marocco fu che stavano arrivando quelle ecoballe. Così non era: le ecoballe approdate sulle coste marocchine furono confezionate il 26 maggio, il cantiere campano fu inaugurato quattro giorni dopo. Le ecoballe partite dall’Abruzzo contenevano rifiuti provenienti dalla stessa regione.
Nella “Relazione sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata” del Ministero dell’Interno relativa al 2015, e comunicata alla Presidenza del Senato il 4 gennaio 2017, il porto di Pescara è stato definito «il più importante dell’Abruzzo e per i suoi accresciuti scambi commerciali con i Paesi dei Balcani occidentali costituisce uno snodo cruciale per i traffici di sostanze stupefacenti e di esseri umani» e richiamo dell’intera provincia per «sodalizi mafiosi interessati al reinvestimento di capitali illecitamente accumulati».
Tra le attività criminali segnalate nel rapporto spiccano spaccio di stupefacenti, corse clandestine dei cavalli, gioco d’azzardo, truffe, estorsioni, usura, tratta di esseri umani, sfruttamento della prostituzione «anche minorenni», sfruttamento della «manodopera clandestina». Proventi di attività illegali, si legge ancora nella relazione, «vengono reinvestiti anche nell’acquisto di esercizi commerciali ed immobili».
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