C’era nebbia fitta, che impediva la visibilità, la sera del 10 aprile 1991 nella rada del porto di Livorno. Questa la “verità ufficiale” confezionata e consegnata dopo che quella notte il traghetto Moby Prince si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo. Una verità ufficiale che negli anni si sgretolò, smentita da diversi testimoni e dalla relazione finale consegnata 17 anni dopo da una commissione parlamentare d’inchiesta.
Non c’era quella sera una nebbia fitta che causò la strage ma, in realtà, una nebbia scese quella sera e ancora oggi non è ancora andata via. È la nebbia delle verità di comodo, dei depistaggi e delle trame che avvolgono e sconvolgono la ricerca della verità, della giustizia e della lotta contro colpevoli, pupi e pupari in questo Paese a sovranità e giustizia limitati. Tante, troppe, sono le stragi che hanno insanguinato l’eterna notte della Repubblica Italiana su cui questa nebbia persiste.
Tra cui la strage di Ustica del 1980. Quella notte Mario Alberto Dettori era radarista a Poggio Ballone, sette anni dopo fu trovato impiccato. Una morte liquidata all’epoca come suicidio con le indagini archiviate subito. Mario Alberto Dettori, ricordò l’anno scorso la figlia Barbara – «disse che l’Italia era arrivata ad un passo dalla guerra» e che la famiglia non ha mai creduto alla tesi del suicidio, sostenuta nella battaglia legale dall’Associazione Antimafie Rita Atria.
«Capitano siamo stati noi …», «capitano dopo questa puttanata del Mig libico», «siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù», «ho paura, capitano, non posso dirle altro al telefono. Qui ci fanno la pelle» disse Dettori a Mario Ciancarella.
Tre settimane dopo, quando venne ritrovato il Mig 23 libico sui monti della Sila, Dettori richiamò Ciancarella, «mi disse che la storia del Mig era una puttanata – ricordò Ciancarella – poi mi diede tre spunti sui quali indagare: comandante, si guardi gli orari degli atterraggi dei jet militari la sera del 27 giugno, i missili a guida radar e quelli a testata inerte. Poi non lo sentii più».
Nel dicembre 2016 un esposto dell’Associazione Antimafie Rita Atria e dalla famiglia Dettori, presentato dall’avvocato Goffredo D’Antona, portò alla riapertura delle indagini. Su richiesta della Procura quest’inchiesta è stata archiviata. Nei giorni scorsi, ha reso noto l’Associazione Antimafie Rita Atria, «il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Grosseto ha statuito che un collega del Maresciallo Mario Alberto Dettori, testimone della strage di Ustica, ha dichiarato il falso ai Carabinieri durante un interrogatorio».
Questo collega di Dettori «davanti a più persone ebbe a riferire che questi, secondo lui, non si era suicidato visto come era stato trovato impiccato. E per spiegare meglio quanto dichiarato fece pure un disegno che consegnò alla famiglia – si legge nel comunicato dell’Associazione Antimafie Rita Atria – indicato come persona informata sui fatti, successivamente, ebbe a negare queste circostanze avanti la Polizia Giudiziaria». Il Gip nei giorni scorsi «statuisce che questa persona ha reso false dichiarazioni, ma non è punibile o per questioni tecniche processuali» ed «emerge ancora una volta che non tutti hanno detto la verità sulla morte di Mario Alberto Dettori». L’archiviazione, è la conclusione della nota, «non mina in alcun modo, anzi rafforza, l’impegno della famiglia Dettori assieme all’associazione antimafie Rita Atria, finalizzato a far luce su una delle pagine più buie della Repubblica».
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