Quando dici ad una donna «copriti», «un pò di decoro!», «abbi pudore!», «vestiti come una per bene!», in realtà le stai dicendo che nel caso in cui qualcuno tentasse di molestarla o – nella peggiore delle ipotesi – di stuprarla, la colpa finirebbe per essere inevitabilmente sua.
Le stai dicendo che «visto che lì fuori c'è una quantità innumerevole di predatori», le donne in qualità di «vittime perpetue» dovrebbero sentirsi in dovere di condizionare la propria vita sulla base degli impulsi sessuali di chi detiene il potere.
Le stai dicendo che evitando un certo tipo di abbigliamento, il rischio di essere stuprata diminuirebbe almeno del 90%.
Tutto questo, senza averne la benché minima certezza, senza testare l'infallibilità delle tue congetture. Le stai mentendo, e lo stai facendo cercando di propagandare un retaggio culturale fondato su stereotipi secondo i quali «la donna se la cerca» mentre «l'uomo è predatore», ragioni per le quali dovremmo attenerci a tale peculiarità e determinare le nostre scelte sulla base della «presunta innocenza» del maschio etero medio.
Le stai dicendo che la volgarità di una donna (e attenzione, parlo di donne, non conosco uomini che abbiano mai corso il rischio di essere additati come «volgari») si erige sulla malizia contenuta negli occhi di chi la guarda; che la colpa è della camicetta succinta, del leggins aderente, del reggiseno sotto la magliettina trasparente, di un jeans scosciato.
Di tutti, eccetto che dello stupratore.
Di tutti, a eccezione di ha perpetrato violenza.
Ora, al di là di ogni ipotetica forma mentis, dalla quale fatichiamo copiosamente a prendere le distanze, siamo consapevoli che non funzioni esattamente così. Siamo consapevoli che gli occhi che temiamo tanto, sono quelli di sanguinari neanche troppo degni di stare al mondo. Stiamo parlando di uomini privi di attributi che nonostante gli anni di lotta per l'emancipazione femminile non riescono ancora a recidere il proprio corredo genetico dall'erronea convinzione di vantare un primato sui nostri corpi. Stiamo parlando di scartoffie, di esseri robotici convinti che il fatto di avere una mazza ballonzolante tra le gambe possa giustificarli sempre e comunque.
Ogni volta che dite ad una donna di coprirsi, non solo la state colpevolizzando, cercando erroneamente di venir meno al principio di autodeterminazione femminile, ma le state servendo su un piatto d'argento l'illusione che una sovrastruttura ideologica, culturale e sociale fondata sull'idillio della supremazia maschile, possa smettere di dominare SOLO nel caso in cui donna, decida di aprire il proprio guardaroba per indossare qualunque cosa tale struttura reputi PUDICA, CRISTIANA, DECOROSA o che comunque si collochi entro i limiti massimi della «non-stuprabilità».
Non siamo bambole nelle mani di uomini assetati di sesso e potere. Non abbiamo bisogno di essere educate. Non abbiamo bisogno che qualcuno ci insegni ad aumentare le nostre difese immuno-sociali, onde EVITARE che su di noi vengano perpetrate altre violenze. Abbiamo bisogno di LIBERARCI!
E paradossalmente, dietro il vostro intento «benefico», oltre ad una vaga illusione di controllo (suppongo abbiate una sfera di cristallo per appurare che non sarete mai vittime di violenza) non si nasconde altro che il vacuo tentativo di insegnare alle donne a convivere con le proprie catene, non a reciderle.
Donne, tornate ad avere il controllo sui vostri corpi! Tornate a scegliere per voi stesse ed in funzione di quel principio chiamato «libero arbitrio»! Liberatevi dal «code dress» della vostra morale! Tornate a decidere cosa sia meglio per voi e non fatelo sulla base di un retaggio! Non fatelo perché qualcuno vi convince che sia giusto così, nè ancor meno perché «il mondo va avanti in questo modo da sempre, quindi teniamocelo!».
Tornate a manifestare voi stesse come ritenete più opportuno: slacciatevi dai vincoli, da ogni convinzione limitante, da ogni ipotetico savoir-faire che incastona le vostre menti.
E fatelo anche in onor di chi, preserva e difende le proprie catene con vigore.
Ilaria Di Roberto
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