Una recente puntata della trasmissione Report, condotta da Sigfrido Ranucci su Rai3, è tornata a documentare ed illuminare la zona grigia (anzi nera) più diffusa e pericolosa del Paese orrendamente sporco. Un Paese a sovranità limitata, un Paese in cui trame ed intrighi dalla strage di Portella della Ginestra in poi hanno intrecciato mafie, il sistema criminale integrato tra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta sancito e creato dopo le stragi e la trattativa Stato-mafia 1992/1993, neofascismo, servizi segreti e apparati militari italici e d’oltreoceano. Come documenta e dimostra anche il documentario d'inchiesta sulla P2 che l'Associazione Antimafie Rita Atria ha nuovamente reso disponibile al pubblico nelle scorse settimane e a cui abbiamo dedicato alcuni nostri articoli.
I salotti buoni progressisti ma non troppo, i democratici à la carte e l’intellighenzia di questo Paese sono tornati a scoprire la pericolosità eversiva dei neofascisti dopo l’assalto alla sede della CGIL lo scorso 15 ottobre. Hanno persino scoperto che forza nuova e cameratume vario stanno cercando di sfruttare l’emergenza sanitaria (noi l’abbiamo documentato e denunciato, nel silenzio generale, le prime volte nel maggio e giugno 2020 senza i grandi mezzi di lor signori) e la crisi economica e sociale che sta mettendo in ginocchio l’Italia. Passate poche settimane è tornata a calare la totale omertà. E di scioglimento di forza nuova e delle formazioni neofasciste non si è parlato più. Dopo una mozione parlamentare a dir poco imbarazzante, in cui la vera carica eversiva, le trame terroristiche di ieri e di oggi neanche sono state citate. L’unico strascico della fiammata (contro gli eredi della fiamma, e già questo paradosso fa comprendere il livello) è diventato il manganello del pensiero unico contro chi pone domande, chi fa inchieste, chi denuncia il marcio e non si allinea ai dettami etichettanti delle narrazioni di comodo.
Ma, al di là di propagande interessate e narrazioni di sistema, un ventre eversivo esiste. Da decenni.
Ripubblichiamo dal sito www.ilcompagno.it la testimonianza di Salvo Vitale sul neofascismo a Cinisi, su trame e complicità, ai tempi di Radio Aut.
Dinamiche mai sopite, mai interrotte, un passato che non è mai passato su cui è vitale interrogarsi realmente, denudare concretamente la realtà reale, senza tentennamenti e verità di comodo, senza scorciatoie di bassa politica e con coraggio. Con l’intenzione non della sopravvivenza di un ceto politico indegno o solo parate retoriche, non guardando a remoti passati chiudendo gli occhi su oggi. E senza etichette e intruppamenti ideologici e a favore di potentati e sistemi criminali mafiosi su cui calano omertà, complicità e vigliaccherie.
Neofascisti a Cinisi al tempo di Peppino Impastato
Nel ’74 a Cinisi fu ciclostilato e diffuso un numero unico, a cura del PCI e della FGCI, dal titolo “CONFRONTO”, dov’era riportato un servizio di Agostino Vitale di seguito riportato, che rimane un utile documento sulla cronaca di quegli anni: per due volte viene citata «un’organizzazione della sinistra», che evidentemente era “Lotta Continua”. L’articolo di Agostino Vitale e il testo integrale della sentenza De Francisci del 27.02.1992 sono stati pubblicati per la prima volta sul testo di Salvo Vitale “Nel cuore dei coralli”, oggi in nuova edizione col titolo “Peppino Impastato, una vita contro la mafia” (Rubbettino Editore)
ATTIVITÀ NEOFASCISTE A CINISI
“Nel 1970, con Valpreda in galera e la sinistra ufficialmente incolpata di terrorismo sanguinario, il neofascismo, ormai sicuro della propria impunità, oltre a continuare negli attentati e nelle violenze cominciò a giocare apertamente la carta della distruzione dello stato democratico. Ci pensò Valerio Borghese con il tentato colpo di stato del 7 dicembre, del quale, grazie alla rete di connivenze e protezioni di cui godevano i fascisti fra certi settori della magistratura, della polizia e delle forze politiche vicine al governo, si seppe qualcosa soltanto nel ’72 dietro le rivelazioni del quotidiano “Paese Sera”. In seguito a queste rivelazioni Salvatore Maltese, 26 anni, geometra, (segretario della locale sezione del MSI); suo fratello Vittorio, 22 anni; Salvatore Leone, 26 anni, universitario, e altri giovani legati all’MSI-DN, affissero un tracotante manifesto dove si sputava veleno sulla democrazia e si lanciavano appelli per uno Stato forte. La vigilanza antifascista delle sinistre a Cinisi impedì che questa ed altre provocazioni che ad essa seguirono, giungessero ad un qualsiasi risultato.
Nel 1972 (quando i magistrati Gerardo D’Ambrosio, Emilio Alessandrini, Luigi Fiasconaro e Giancarlo Stiz, vincendo ostruzionismi e omertà riuscirono ad orientare le indagini sulle stragi fra gli ambienti di destra e arrestarono i fascisti Freda, Ventura e Rauti accusandoli di essere gli autori della strage di piazza Fontana) il PCI fece affiggere un manifesto che riproduceva il testo integrale fotostatico del bando con cui il fascista Almirante (segretario nazionale dell’MSI-DN coinvolto oggi nelle inchieste giudiziarie sulle trame nere) ordinava la fucilazione alla schiena di partigiani e combattenti antifascisti durante la dittatura. I missini coprirono numerosi manifesti del PCI con altri che preannunciavano un comizio a Cinisi del fucilatore Almirante, trovando ancora una volta pronta risposta nella vigilanza antifascista dei giovani democratici di Cinisi.
Nel luglio ’73 (quando ormai, grazie agli sforzi e al coraggio dei giornali e dei giudici democratici, il castello delle menzogne edificato a sostegno dei piani criminali delle destre era stato distrutto e la strategia della tensione scopriva la sua matrice nera), a Cinisi scoppiava uno scandalo all’Ufficio di collocamento gestito a quel tempo da Alfredo Silvestri, 65 anni pensionato, da sempre legato agli ambienti dell’estrema destra.
La Commissione di controllo aveva creduto di ravvisare delle irregolarità nella compilazione delle liste di collocamento, correndo voci che accusavano il Silvestri (indicato da più parti come un trafficante di posti) di servirsi del suo incarico ad usi personali e per scopi politici.
La locale sezione del MSI reagì rozzamente e in un pubblico comizio furono rilanciate le accuse di corruzione contro la Commissione nella sua componente CGIL. Fu a questo punto che intervenne una organizzazione della sinistra diffondendo un manifesto che doveva suscitare scalpore a Cinisi.
Il manifesto riproduceva dei personaggi nei quali l’opinione pubblica credette di riconoscere Salvatore Maltese e lo stesso Silvestri, immaginato questo nella sua presunta funzione di postivendolo. Quella stessa sera (era l’8 luglio), dopo tutta una giornata passata all’insegna dell’intolleranza e della provocazione, il Maltese ed alcuni suoi amici furono sorpresi a strappare alcuni di quei manifesti nel centralissimo corso Umberto. Avvicinati da alcuni esponenti della sinistra venne loro chiesta la ragione di quella bravata. I fascisti passarono subito alle vie di fatto. Per gli incidenti che ne nacquero furono denunziati, secondo il “Giornale di Sicilia” del 12 gennaio 1974, 25 giovani democratici la maggior parte dei quali non era neppure presente ai fatti. Il giornale, affermando di attenersi scrupolosamente ad un rapporto della caserma dei carabinieri, portava avanti un discorso provocatorio e tendenzioso nel quale il Maltese risultava atteggiarsi a «vittima innocente delle minacce e delle intimidazioni – diceva testualmente l’articolo – sintomatici di un determinato tipo di episodi mafiosi». Così, di punto in bianco, grazie alla relazione dei carabinieri (se vi fu) e alla deposizione dei fascisti coinvolti negli incidenti, i giovani democratici di Cinisi erano diventati pericolosi mafiosi.
La grottesca montatura, che evidentemente tendeva a svuotare la faccenda del suo risvolto politico per appesantirne la portata in sede giudiziale, durò poco. Il giorno dopo infatti “L’Ora” in un articolo intitolato «…Ma ché mafiosi: denunciati perché facevano a botte con i fascisti», riportò tutta la vicenda alle sue caratteristiche originarie. Parallelamente al ritrovamento di bombe inesplose in varie parti d’Italia e ad attentati, che i neofascisti tentarono ormai senza successo di tingere di rosso, fu rinvenuta (dopo alcuni giorni gli incidenti riportati sopra) una bomba presso l’abitazione dell’appuntato dei carabinieri Meli e la sua auto fu ritrovata semincendiata.
L’episodio a suo tempo fu attribuito a un personaggio non estraneo alla cronaca nera. Un anno prima (agosto 1972) “L’Ora” aveva pubblicato cose interessantissime sulla scoperta di un campo paramilitare a Menfi.
L’estate del ’72, come del resto quelle degli anni precedenti, fu densa di cronache che rivelano l’esistenza, un po’ ovunque, di campi paramilitari dove aspiranti camicie nere si addestravano alla guerra, preparandosi a portare il loro contributo a quel colpo di stato da tante parti ventilato e ritenuto ormai come imminente.
In effetti le ricorrenti crisi di governo, il vuoto di potere, il moltiplicarsi delle gesta terroristiche, l’incapacità di governo a districarsi dal macabro groviglio delle responsabilità, facevano pensare a un prossimo rovinoso precipitare della situazione. “L’Ora”, in un articolo intitolato “CARNEVALE FASCISTA A CINISI”, pubblicava una foto che ritraeva Salvatore Maltese in tenuta militare mentre si produceva in un paludatissimo saluto romano. L’articolo pubblicato con grande rilievo in prima pagina, rivelava che nel campo paramilitare di Menfi (scoperto da pochi giorni) fra gli altri fascisti che si addestravano ad abbattere la democrazia italiana c’erano Salvatore Maltese, Salvatore Palazzolo detto Mangiameli, 20 anni, Salvatore Palazzolo (detto lo Svizzero), 28 anni. I tre presentarono subito una querela per diffamazione contro il giornale della sera di Palermo.
A cominciare dal 6 ottobre del 1973 le provocazioni assunsero toni più allarmanti.
Nuclei di fascisti indigeni furono visti più volte fare il giro dell’isolato dove, nei locali di una organizzazione di sinistra, si teneva un dibattito sul golpe in Cile. Alle ore 22,30 di quella stessa sera, presso la contrada del Furi fu notata una Bianchina verde-beige con quattro individui a bordo. Indossavano vestiti di foggia militare ed erano provvisti di zaini. La stessa auto (della quale siamo in possesso del numero di targa) e le stesse persone furono viste ancora il giorno dopo attraversare corso Umberto e lasciare il paese verso le 16.
Si moltiplicavano, in quel periodo, le scritte murali inneggianti al fascismo e al duce.
Fra le più truculente vale la pena di ricordare queste: «MSI vince » «DC+PCI = bombe» «Italia nera», «Dio creò i comunisti e li chiamò bastardi», «Se il casino è dilagante ci vuole Almirante», «W il duce», «W il fronte della gioventù», «W Ordine Nuovo», «W Avanguardia nazionale» (organizzazioni neonaziste coinvolte nelle indagini sulle trame nere, n.d.r.).
Tra la fine di ottobre e i primi di novembre si ricostituì a Cinisi la Camera del Lavoro. Le sinistre aprirono il loro intervento presso gli edili da sempre sottoposti a volgare sfruttamento (assunzioni illegali, ore di lavoro regalate al datore di lavoro, salari ridotti all’osso) e alla possibilità di indiscriminato licenziamento.
Sulla strada delle rivendicazioni le sinistre si scontrarono con gli interessi dei piccoli imprenditori che non volevano aprirsi ad alcun compromesso, strumentalizzati in questo atteggiamento da organizzazioni fasciste extraparlamentari che avevano deciso di sostenerli.
Gli esponenti del PCI, del PSI, di Lotta Continua, più impegnati nella vertenza, cominciarono infatti a ricevere lettere minatorie nelle quali li si minacciava di morte se non avessero «lasciato in pace i muratori». In una di queste lettere si poteva leggere testualmente:
«Compagni, vi scriviamo ancora per dirvi alcune cose. Abbiamo visto che le nostre lettere hanno fatto qualcosa con i giovani muratori. Ci dovevano per forza esserci le minacce con voi luridi comunisti. La vostra politica di vendere “Lotta Continua” nel bar ci sta sui coglioni, perché dite un sacco di cazzate. E poi molti giovani comunisti di Cinisi la dovete pagare per altre cose che avete fatto negli anni scorsi. Voi tutti l’avete promesse, anche i muratori se si muovono. Luridi comunisti attenzione a quello che fate. Firmato: gruppo di avanguardia SAM (organizzazione fascista n.d.r.). Ci firmiamo e accettiamo da voi ogni provocazione».
Alle lettere minatorie seguirono ben presto telefonate anonime con solite minacce: «Vi faremo sparire tutti». L’imbecille al telefono doveva veramente essere convinto di stare spaventando qualcuno, suggestionato in ciò evidentemente dalla spavalderia e dalla sicurezza con le quali, a livello nazionale, le organizzazioni fasciste praticamente firmavano ormai da qualche tempo i loro attentati e le loro stragi. I due attentati, di cui sono rimasti ignoti gli autori, al generatore elettrico di Cinisi (dove viene fatta esplodere una bomba la notte fra il 25 ed il 26 febbraio 1974) e all’ufficio ENEL di Terrasini (dove viene appiccato il fuoco alla porta), erano a nostro avviso destinati ad alimentare la strategia della tensione. L’obiettivo finale di questa strategia è la distruzione dello Stato democratico e l’instaurazione di un regime militare. Un obiettivo destinato a scontrarsi con le masse proletarie italiane, profondamente antifasciste e la realtà politica del Paese.”
Lo scontro del ‘74
Lo scontro dell’8 luglio, tra il gruppo di “Lotta Continua” e quello dei fascisti fu violento ed anche la madre di Peppino accorse, in aiuto del figlio. La vicenda venne chiusa cinque anni dopo, nel dicembre del ’78, allorché il magistrato prosciolse tutti gli imputati. In quella circostanza venne inviata una comunicazione giudiziaria a Peppino Impastato: il giornale “L’Ora” ne diede notizia il 21-12-78 con un articolo dal titolo: “Impastato, risorgi, in nome del popolo italiano”. Ecco una parte di un articolo da me pubblicato su Lotta Continua dell’11-12-1978:
“A quasi sei anni dal fatto la magistratura, probabilmente dietro oculate pressioni da parte di certi ambienti mafiosi, ha deciso di rispolverare il fatto, proprio nel momento in cui si è aperta l’istruttoria per l’omicidio di Peppino. È evidente il tentativo di volersi rifare, almeno in parte, dopo il vergognoso comportamento tenuto nel condurre le indagini per l’assassinio di Peppino. Cercando tra le carte di Impastato è stato trovato un foglietto con alcuni appunti su questo episodio: 1) Su quali basi la locale stazione dei CC ha stilato il rapporto relativo ai fatti di domenica 8 luglio? Forse sulla base delle informazioni fornite dalla canaglia fascista? 2) È vero che lunedì il maresciallo si è incontrato con il deputato fascista Nicosia e con il criminale nazifascista Caradonna? Di che cosa hanno parlato? 3) Che cosa si dicono il vicebrigadiere e il fascista pagliaccio Maltese nei loro incontri notturni tra mezzanotte e le due? 4) È vero che il vicebrigadiere è stato trasferito alla Legione dei Carabinieri di Palermo e fa la spola con la stazione di Cinisi? Perché? 5) È vero che la lista dei compagni denunciati è stata stilata in caserma dal Maltese e dal vicebrigadiere molto prima che il Maltese aggredisse il compagno Impastato? Nella stesura del primo avviso di reato i denunciati erano 25, ora sono diventati 28. Peraltro tra i denunciati ci sono due compagni che quel giorno si trovavano sul posto di lavoro, altri tre erano fuori Cinisi ed uno aveva addirittura la gamba ingessata. Questo dimostra con molta chiarezza che la denuncia è stata fatta avendo presente una lista precedentemente elaborata in collaborazione tra CC. e fascisti”
Una pista neofascista sull’omicidio di Peppino
Una pista neofascista emerge dalla richiesta di archiviazione delle indagini sull’omicidio di Peppino Impastato del 27.02.1992 formulata dal pm. Ignazio De Francisci, della quale si riporta un interessante stralcio: “Per quanto riguarda la deposizione di Angelo Izzo, personaggio inserito nell’ambito della destra extra-parlamentare, che ha riferito – nel contesto di dichiarazioni più in generale rese nel processo per l’omicidio del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio 1980, del coinvolgimento di elementi dell’estrema destra, quali esecutori materiali dell’omicidio dell’Impastato, e in particolare di un certo Miranda, detto “il Nano”, vanno fatte alcune precisazioni. Innanzitutto è da mettere in serio dubbio l’attendibilità dell’Izzo a fronte delle contraddizioni e della mancanza di riscontri probatori alle sue dichiarazioni. Tale notazione riguarda in particolare le notizie che, come nel caso di specie, Angelo Izzo afferma di avere apprese personalmente da Pierluigi Concutelli. Si tratta infatti di notizie che non hanno avuto alcun sostegno e che non sono state confermate da coloro che Izzo assume essere stati suoi confidenti ( si v. l’ordinanza-sentenza emessa nel procedimento penale contro Greco Michele + 18 per gli omicidi Reina, Mattarella, La Torre, Di Salvo, pag. 455 e segg.). Peraltro, nel presente procedimento, a non volere null’altro tralasciare, nell’agosto del ’91 è stato sentito Pierluigi Concutelli, in ordine a queste presunte confidenze che egli avrebbe fatto all’Izzo, relative all’omicidio Impastato. Nessun nuovo elemento è emerso, avendo il Concutelli negato sia le specifiche circostanze che l’esistenza di un rapporto diretto tra criminalità organizzata e forse eversive dell’estrema destra. Ha invece ammesso la conoscenza di tale Roberto Miranda, suo amico e coimputato, che a causa della bassa statura poteva anche essere stato identificato come “il Nano”, senza tuttavia essere in grado di dare chiarimenti sull’eventuale coinvolgimento dello stesso nell’omicidio Impastato”.
La pista, come si può leggere, è stata frettolosamente abbandonata e il Miranda, personaggio molto noto dell’eversione nera palermitana, al punto da essere stato anche candidato alla presidenza della Provincia, non è stato mai interrogato. Sulla pista neofascista mostrò molto interesse anche il giudice Giancarlo Donadio, componente della Commissione Antimafia che si occupò del depistaggio delle indagini sull’omicidio Impastato: tra le sue curiosità rimaste senza risposta quella della pubblicazione, sul giornale “Cronaca Vera” di alcune foto che dovevano essere in esclusivo possesso di chi allora condusse le indagini, oltre che la foto-scheda scattata all’atto del servizio militare, che doveva essere negli archivi dell’esercito, il tutto presentato con un titolo cubitale: “E’ saltato in aria da solo” e con un servizio che esprime un livore e una cattiveria ben al di là della cronaca giornalistica.. Mai nessuna indagine neanche lì. Un ultimo tentativo di accertare eventuali responsabilità neofasciste venne condotto ed eventuali complicità tra le forze dell’ordine venne condotto dal pm Francesco del Bene intorno al 2010, con l’audizione di alcuni compagni di Peppino, compreso chi scrive, ma di queste indagini non è stato reso noto nulla.
Oggi
Del resto di cosa stupirsi? Erano originari di Cinisi i genitori di uno dei più grandi ideologi del pensiero europeo di centrodestra, definitosi lui stesso “superfascista”, Julius Cesare Evola ed era di Cinisi quel Tano Badalamenti al quale il principe Nero Junio Valerio Borghese aveva affidato l’incarico di reclutare un migliaio di picciotti per portare avanti una parte del suo poi rientrato di colpo di stato. Oggi di quelle presenze organizzate è rimasto ben poco, a parte qualche vecchio nostalgico e qualche giovane in cerca di identità. Lo stesso Salvatore Maltese, citato nell’articolo di Agostino Vitale, impegnato, in passato sia sul fronte istituzionale che su quello della destra più radicale, e che a Radio Aut chiamavamo “il geometra Ducese” (una sintesi tra duce e Maltese), ha rivisto profondamente il suo giudizio su Peppino e le analisi sui rapporti tra capitalismo e fascismo.
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2022-02-22 16:34:24
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