Si è concluso ieri il lungo e complesso iter processuale, con la condanna definitiva dei due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro ritenuti responsabili della morte di Stefano Cucchi, condannati in via definitiva a 12 anni di carcere, uno in meno rispetto alla precedente sentenza.
Sono trascorsi 15 anni da quel 22 ottobre 2009. Decine di udienze, processi, indagini. E tanta, tanta sofferenza. Ed è arrivata la pronuncia della Cassazione.
Una vita spezzata a seguito di un pestaggio violentissimo. Una famiglia devastata. Stefano Cucchi è stato ammazzato di botte e questo non lo potrà cancellare nessuna sentenza.
Il 31enne romano venne fermato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti: dopo essere stato portato in caserma venne disposta per lui la custodia cautelare in carcere per detenzione di stupefacenti. Ma Stefano morì pochi giorni dopo il fermo: sei giorni di "via crucis", un corpo martoriato dalle percosse.
Perché Stefano è deceduto a causa del pestaggio da parte di appartenenti all'Arma dei Carabinieri i quali, anziché tutelare un cittadino in loro custodia, sono arrivati a togliergli la vita: il male supremo per una società civile.
La tenacia della famiglia Cucchi, le testimonianze preziose di alcuni carabinieri come Riccardo Casamassima e Maria Rosati, un film che ha fatto conoscere all'opinione pubblica la drammatica storia di Stefano, hanno permesso di non gettare nell'oblio una vicenda così grave per uno Stato di diritto come il nostro. Una macchia che resterà per sempre impressa su alcuni appartenenti alle istituzioni.
C'è stato chi ha provato a depistare le indagini, a nascondere i fatti, a raccontare altro; tuttavia la verità ha una forza inesauribile e per fortuna (quasi sempre) resiste agli attacchi. Un grande giorno per la famiglia di Stefano Cucchi e per il paese intero.
Ma a quale prezzo?
Sono serviti 13 anni di udienze e una sofferenza, per parenti e testimoni, che niente e nessuno potrà cancellare.
Che almeno questa condanna sia un monito per tutti: affinché non ci siano altri Stefano Cucchi all'interno delle caserme italiane, affinché nessuno venga privato della vita a seguito di un fermo da parte di uomini dello Stato, affinché la legge faccia sempre la legge.
Stefano è un fratello, un figlio, un amico, Stefano è diventato uno di noi e per lui abbiamo lottato: non è stato difeso da vivo (da parte di chi avrebbe dovuto tutelarlo), ma almeno da morto siamo stati capaci di lottare per lui.
Un pensiero va necessariamente ai suoi genitori. Non erano presenti in Cassazione: troppo provati nel corpo e nello spirito per la morte di un figlio che, qualcuno, avrebbe voluto uccidere una seconda volta. Non è stato così. Non ci siete riusciti.
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