Viviamo in una società abituata a parlare di sport – il calcio fra tutti è il principe incontrastato di questo argomento – di amore, di sesso, di economia, di vacanze, ecc. Si parla di tutto, persino di malattie, ma si tende a tenere taciute le malattie mentali perché scomode da trattare in un mondo sconnesso dal mondo stesso, non coeso con le cause dei suoi effetti malati, non efficace quando occorre, ma lapidario e distruttivo quando viene “gestito” da menti medie e mediocri.
Si tende a nascondere i “dissapori” della mente umana in quanto a soffrirne sono meno persone di quante soffrono di tumore o molte altre malattie, ma non per questo dovrebbero essere presi – i dissapori della mente – con meno considerazione da parte di popolazione e mass media. Purtroppo, sono proprio i mezzi di comunicazione con enorme esposizione mediatica a non voler cambiare l’andazzo di questo semi-tacere, perché, altrimenti, i dati d’ascolto saranno invasi da articoli negativi, urlando così al flop di stagione, alla catastrofe televisiva delle reti ammiraglie nazionali e private.
A questo punto, un paio di domande sorgono spontanee: A cosa serve avere i giornali invasi da notizie che riportano picchi d’ascolto che farebbero impallidire il Festival di Sanremo, quando nelle nostre case dilaga la disperazione degli incompresi?
A cosa serve manifestare per la ricerca, quando si tace ciò che già si conosce?
Oltre al conosciuto e al taciuto, ciò che la malattia mentale provoca è la resilienza che va a incastrarsi in seno delle vite che la vivono indirettamente, ma in levatura superiore a coloro che ne sono affetti. Sì, perché le vere vittime dei voli pindarici e distorti della mente umana sono coloro che stanno di fianco, ogni santo momento della propria vita, al malato psichiatrico: stiamo parlando dei coniugi, dei genitori, dei figli, dei fratelli e di tutti coloro che si trovano costretti a condividere i propri spazi con i resi deboli dalla macchina infernale che è la mente umana.
Parliamo di resilienza quando un coniuge, per esempio, vede spegnersi attimo dopo attimo – perché reso inermi dal tarlo mentale – il proprio partner, che tempo addietro aveva scelto come compagno di vita e di viaggio, non come l’automa di un essere umano rimasto intrappolato, senza neppure rendersene conto, nell’infernale ragnatela imbastita da un mondo che non c’è, ma che è vivo e fa più paura di un chiodo nella schiena.
Parliamo di resilienza quando i coinvolti indirettamente, si ritrovano a dover sopportare, in levatura doppia o tripla, il peso lacerante e dilaniante che solo le patologie psichiatriche sono capaci di apportare – nel senso più negativo del termine, ovviamente – nella vita di molti, forse troppi, esseri umani.
Ma non finisce qui: la resilienza, spesso trova ristoro in quella che si chiama la Sindrome di Stoccolma.
Sicuramente, la maggior parte dei lettori, si starà ponendo la stessa domanda:
Cos’è la Sindrome di Stoccolma?
La risposta è semplice, ma maledettamente triste: la Sindrome di Stoccolma, in parole povere, è il solidarizzare con il nemico. Per nemico, però, in questo caso si intendono le persone amate affette da patologia mentale che, spesso risultano violente, se contraddette. Quindi, ai loro cari non resta che solidarizzare con gli effetti negativi della malattia mentale, pur di evitare strade più dure della resilienza già in essere che, indubbiamente, andrebbe a sfociare come un fiume in piena in varie forme depressive, alcune gravissime.
In generale, la Sindrome di Stoccolma viene “rifilata” solo a coloro che hanno subito un rapimento, abusi sessuali o casalinghi, bullismo; in verità, la stessa sindrome va ad abbracciare anche coloro che, per la stanchezza d’abitare in una situazione non scelta – ma a tratti dovuta come l’accudire il malato psichiatrico – decidono di interiorizzare il malessere a tal punto da farlo sembrare normale, quasi amandolo inconsciamente.
A detta di ciò, quanto sarebbe bello vivere in un mondo più informato e più consapevole?
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2022-07-07 16:56:56
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