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Taranto, la macchia sulla coscienza collettiva dell’umanità

by Redazione Web
21 Settembre 2022
in Punti di vista
Reading Time: 157 mins read
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Le due corpose ordinanze rese dal Tribunale riguardano due distinti aspetti, entrambi rilevanti per il prosieguo della causa collettiva.

Con la prima ordinanza, il Tribunale ha respinto tutte le eccezioni sollevate dai ben tredici difensori costituitisi per ILVA in a.s. e ADI, i quali hanno contestato la giurisdizione del giudice ordinario, la legittimazione attiva dei ricorrenti, la mancanza del nesso causale tra inquinamento ed eventi di danno alle persone e l’inammissibilità dell’azione collettiva per essere i fatti oggetto del ricorso anteriori alla entrata in vigore della riforma della class action.

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Così facendo il Tribunale ha affermato che non solo i ricorrenti hanno il diritto ad ottenere una pronuncia nel merito sulla inibitoria di comportamenti illeciti, cioè sulla chiusura degli impianti, ma ha anche aperto le porte alla class action risarcitoria (che stiamo già preparando), stabilendo che esistono tutti i presupposti per il suo esercizio. Significativo al riguardo è il passaggio della motivazione, secondo la quale “Risulta la legittimazione attiva dei ricorrenti, laddove i medesimi hanno affermato di versare, per effetto delle emissioni inquinanti dello stabilimento ILVA, in una situazione di rischio rilevante per la propria salute, per la tranquillità della propria vita, per il proprio diritto al clima, situazione comune a tutte le persone come loro residenti in Taranto”.

Con la seconda ordinanza, il Tribunale ha ritenuto che per potere decidere sulle richieste inibitorie, al fine di evitare il protrarsi della situazione di permanente lesione dei loro diritti fondamentali, è necessaria altresì una pronuncia da parte della Corte di Giustizia Europea volta a stabilire se diverse norme della legislazione chiamata “Salva ILVA” violino il diritto comunitario.

Queste norme sono diverse, ma le più rilevanti riguardano quelle relative alla valutazione del danno sanitario. Per capire la portata dirompente della decisione del Tribunale di Milano, sotto questo profilo, è necessario fare un passo indietro e ricordare che, dopo la consegna delle chiavi a Mittal, avvenuta nel 2018, diversi ministri del Governo Conte 1 scesero a Taranto.

In particolare i ministri Di Maio e Costa promisero solennemente che l’AIA (autorizzazione integrata ambientale) sarebbe stata riesaminata al fine di dare tutte quelle prescrizioni necessarie derivanti dallo svolgimento delle valutazioni sanitarie che prima di allora non erano mai state considerate.

Il procedimento di riesame in effetti venne avviato, su richiesta del Sindaco di Taranto, tuttavia da allora giace su un binario morto, come rilevato dal Tribunale, nonostante le VDS (Valutazione del Danno Sanitario) acquisite siano estremamente negative. Perché questo sia avvenuto è spiegato in modo lampante dal Consiglio dei diritti Umani dell’ONU e cioè perché a Taranto “i governi sono collusi con l’impresa inquinante”. Infatti, i politici promettono ma alla fine non decidono nulla di concreto se non nell’interesse dell’impresa.

La decisione del Tribunale di Milano rompe questo circolo vizioso perché ritiene che l’aia rilasciata ad ILVA senza tenere conto delle VDS sia illegittima per contrasto con il diritto comunitario. Se la Corte di Giustizia Europea risponderà che la questione pregiudiziale sollevata dai giudici italiani è fondata, l’attuale AIA e eventuali future autorizzazioni integrate ambientali svolte senza dare le prescrizioni necessarie ad eliminare i rischi sanitari per la popolazione non consentiranno la prosecuzione dell’attività e ne sarà disposta la cessazione.

Significativa è anche l’integrale trascrizione nell’ordinanza dei giudici di Milano del giudizio espresso dalla Commissione per i diritti Umani dell’ONU che ha qualificato Taranto come “zona di sacrificio” che richiede l’immediata adozione di provvedimenti che facciano cessare la violazione di diritti umani. Essa depone nel senso che ove la Corte UE ravvisi il contrasto della legislazione nazionale con quella comunitaria il passaggio successivo sarà l’accoglimento dell’azione inibitoria, proprio in virtù del giudizio espresso in sede ONU, e già fatto proprio dal Tribunale.

Stando così le cose, il Governo sarà ora chiamato a costituirsi nel giudizio dinanzi alla Corte Europea e dovrà rendere le sue conclusioni. Se insisterà nel suo usuale atteggiamento di collusione, esplicitato chiaramente dal premier Draghi che addirittura vuole riportare la produzione dell’ILVA a quella dei tempi della gestione dei Riva, questa volta dovrà fare i conti con un giudice che ha il potere di sanzionare questa condotta in modo coattivo.

L’ipotesi più realistica è che il Governo cercherà in tutti i modi di ritardare la pronuncia definitiva cercando, nel frattempo, di “addolcire” le VDS sostenendo che le stesse non devono considerare tutte le emissioni nocive ma solo alcune. Tuttavia anche su questo punto il Tribunale di Milano ha sollevato una specifica questione pregiudiziale chiedendo alla Corte se tale condotta violi il diritto comunitario.

Un ultimo aspetto riguarda le infinite proroghe contenute nei decreti salva ILVA per l’attuazione del piano ambientale. Il Tribunale ha chiesto alla Corte di pronunciarsi sulle legittimità degli stessi con una motivazione che contiene già la risposta, tanto risulta palese che tali proroghe violino il diritto comunitario. Su tale punto il Tribunale ha evidenziato come la stessa Corte abbia già sancito l’illegittimità delle proroghe. Nelle more del giudizio si arriverà probabilmente a ridosso dell’attuale termine finale che il DPCM del 2017 aveva prorogato fino ad agosto 2023. Ma la pronuncia sarà egualmente importante perché sin da ora è chiaro che ulteriori proroghe non potranno essere concesse.

Come si nota, il risultato che la nostra associazione ha conseguito, per mezzo di dieci suoi aderenti più un bambino, è di straordinaria rilevanza e dimostra quale sia l’enorme potenzialità di una cittadinanza attiva che pretende il rispetto dei propri diritti umani .

Siamo partiti in undici, ora speriamo di arrivare a migliaia per scrivere la parola fine a questa terribile storia che, come ha detto l’ONU, costituisce “una macchia sulla coscienza collettiva dell’umanità”.

 

Associazione Genitori tarantini

 

 

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