Una notte calda di giugno, che caldo faceva – riprendendo le parole della “Ballata del Pinelli” – per la temperatura ormai estiva. E per il clima intorno ad uno dei luoghi della logistica a Novara. Era calda quella notte e gli operai in lotta della logistica erano di fronte ai cancelli, un picchetto operaio organizzato dal Si Cobas per denunciare lo sfruttamento in quello e in tanti altri luoghi.
Tra loro Abdil Belhakdim, che non tornò più a casa, che vide la sua vita spezzata sotto le ruote di un camion. I compagni di Abdil, oscurati dalle strumentalizzazioni e dalle narrazioni comodo-padronali, denunciarono da subito che non fu un incidente.
15.000 persone parteciparono al grande corteo contro sfruttamento e schiavismo, padroni e mafie che impazzano nella logistica e in quelle che Alessio Lega definì «Gotham City» del commercio. E dello sfruttamento e dello schiavismo.
L’autista di quel camion, nel silenzio mediatico, è stato condannato il mese scorso a 7 anni e 6 mesi per omicidio stradale, resistenza a pubblico ufficiale e omissione di soccorso. Non fu un incidente, non fu una disgrazia. Esattamente come non lo fu per Abd ElSalam a Piacenza nell’ottobre 2016. Cinque anni di distanza e dinamica simile, maledettamente simile. Abd ElSalam era, in una notte autunnale, di fronte altri cancelli. A denunciare e lottare lo stesso sistema contro cui perse vita cinque anni dopo Abdil.
Dopo l’omicidio di Abdil la stampa filo padronale si scatenò: incidente, scontri, tragedia, abbiamo letto di tutto e di più. E le prime pagine hanno cercato, nella quasi totalità, di ignorare o confinare in un francobollo la realtà reale. Troppo impegnati a omaggiare ras e padrini, a fare la rincorsa al megafono più servente, a continuare ad ammorbare con le vacue e ottuse amenità con cui invadono etere e infotainment quanto accaduto a Novara non li ha – al di là di coccodrilli e nauseanti frasi di circostanza – interessati minimamente.
È stato ucciso un lavoratore sfruttato e malpagato, che non consumava certo nelle ricche località del lusso e nelle vie dell’alta borghesia, non drogava con ricchi capitali un’economia capitalista rapace. Era pure un immigrato africano militante di un sindacato di base. Suvvia contessa perché occuparsene.
Su uno dei megafoni della borghesia italica dopo qualche paragrafo più o meno di circostanza, addolorati dalla tragedia, due furono le tesi portate avanti. La prima è la più banale e scontata: responsabilità individuale, tutti assolti nella catena di comando. La seconda, nelle ore in cui anche Draghi e Orlando espressero preoccupazioni perché «oddio aumenta la conflittualità sociale, oddio la tensione sociale», ha subito individuato il vero bubbone, la madre di tutti i problemi, il mandante di quanto accaduto. Signori della corte sociale davanti a voi sbattuto, con una squallida sicurezza da fare ribrezzo, il colpevole di tutto: i picchetti, i lavoratori che hanno «strane idee» in testa e provano a far sentire la loro voce.
Che roba contessa fiatano e provano pure a dire la loro, che indecenza. Non solo non producono il più possibile, non solo per colpa loro i vostri gingilli non arrivano prima ancora che lei li ordini. Fanno anche casino e sporcano pavimenti e strade. Che orrore!
Il tam tam dal basso e l’indignazione per tutta Italia costrinse per alcune ore ad accendere i riflettori (in realtà finti come la vera finta pelle di coccodrillo delle borse e delle pellicce della contessa di cui sopra) sulla logistica e su chi vi lavora. Cosa mai accaduta prima e durante la pandemia. Quando lavoratori sfruttati, ridotti in schiavitù da turni massacranti e condizioni sette/ottocentesche – sarebbe notizia recente che ci son lavoratori nel mondo costretti a soluzioni vergognose e disumane anche per espletare i bisogni fisiologici ma nessuno o quasi l’ha raccontato – sono stati quotidianamente sacrificati al moloch del capitale e dell’economia. In quelle settimane, nel silenzio omertoso, abbiamo avuto l’ennesima inchiesta contro evasione fiscale da parte di un colosso della logistica e almeno due aggressioni violente – persino con mazze e bastoni – a lavoratori in sciopero per denunciare lo sfruttamento disumano in cui sono costretti quotidianamente.
Ad aprile, almeno secondo caso in due anni, le mafie padronali spararono in agguati contro braccianti immigrati. Come accaduto anche in Calabria, dove negli anni scorsi un sindacalista USB (nel disprezzo e nel rovesciamento di colpevoli e vittime da parte delle destre) fu assassinato.
All’alba della nostra avventura intervistammo Marta Fana, a Vasto per presentare il libro «Basta salari da fame». Un’intervista in cui ci ha sottolineato storia (sociale e legislativa) e dati attuali dello sfruttamento, del caporalato della logistica, dello schiavismo che domina.
In quelle settimane era emersa la notizia, taciuta dai grandi mass media e dai pavoni della grande politica, che ci sono stabilimenti dove mazzieri armati di tutto punto picchiavano gli operai se non rispettavano – o addirittura protestavano – il massacro quotidiano, la connivenza e compresenza delle mafie nella logistica e negli affari degli schiavisti. Nell’intervista Marta Fana ha riportato e denunciato quanto le diseguaglianze sociali in Italia sono state favorite e agevolate a norma di legge, del ricatto contro i lavoratori: appalti, subappalti, lavoratori in affitto – ma può essere accettabile affittare esseri umani?
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2023-06-19 18:31:40
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