L’Italia è un Paese senza memoria e dall’infinita retorica fine a se stessa. Non smetteremo mai di ripeterlo e di puntare il dito sulla ruota del criceto di anniversari, discorsi, cerimonie, belle quanto inutili e strumentali parole. Sui diritti umani, sulla civiltà, sulla lotta alle mafie ed una legalità democratica e autentica si raggiungono vette nauseanti e sconcertanti. Se si seguissero le parole di parate e pennacchi l’Italia sarebbe il paradiso per eccellenza. Ma la realtà reale, la cronaca quotidiana per chi volge lo sguardo oltre le cortine fumogene ci mostrano inferni su inferni.
Voltaire affermava che “la civiltà di un Paese è data dalle condizioni delle sue carceri”. Sulle nostre pagine varie volte abbiamo raccontato la condizione nelle carceri italiane, il numero di suicidi che ogni anno aumentano e vicende come quelle di Eros Priore a Vasto e zio N. a Chieti di cui ci siamo occupati l’anno scorso e un mese e mezzo fa (due tra le migliaia di vicende drammatiche in tutta Italia), gridano il livello delle condizioni delle carceri italiane. E quanto la civiltà non è di casa. Su questi inferni piombò nel tardo inverno di tre anni fa, ma la memoria dei senza memoria ormai l’ha rimosso totalmente, la pandemia del covid19. Il livello della “gestione” (virgolette non casuali) del covid19 nelle carceri italiane, e il livello dell’inferno in terra per i più deboli, fragili e senza santi in paradiso, lo attesta ulteriormente quel che Francesco Lo Piccolo e Antonella La Morgia di Voci di Dentro raccontarono alla nostra testata un anno fa.
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L’inferno in terra non è uguale per tutti e mentre c’è chi muore e sopravvive a condizioni inaccettabili c’è chi, invece, riesce addirittura anche da dietro le sbarre a manovrare e continuare i suoi sporchi traffici. Le carceri abruzzesi sono tra le dimostrazioni di questo, la cronaca dei mesi scorsi ci ha riportato il caso di un ‘ndranghetista che dal carcere di Lanciano continuava a mandare ordini, internato in Abruzzo quattro anni fa il rampollo del boss dei boss totò u curtu secondo un’inchiesta giudiziaria (su cui non si è più avuta notizia e non sappiamo quali evoluzioni hanno avuto le parole pronunciate anni fa dai giudici) avrebbe – condizionale d’obbligo non essendoci riscontri documentali successivi – inviato ordini, Graviano mandò dal 41bis a L’Aquila messaggi contro la nomina di Di Matteo al Dap.
I boss inviano ordini e messaggi nel deserto dell’emarginazione criminogena e classista
Messina Denaro nel carcere in cui Graviano lanciò messaggi contro Di Matteo
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In tutto questo i clan hanno visto, tre anni fa, nell’arrivo della pandemia un’ulteriore occasione da sfruttare. Lo hanno fatto, e lo denunciammo ripetutamente allora, sfruttando la disperazione e la crisi economica montante rafforzando l’opera di egemonia in alcuni territori e di rapace divoramento di settori economici e sociali. E lo hanno fatto nelle carceri. Mentre migliaia e migliaia di detenuti, così come del personale, si trovavano a fronteggiare i rischi sanitari in una situazione drammatica, mentre migliaia e migliaia di persone si ritrovarono abbandonati e disperati, i boss manovrarono. Dentro e fuori le carceri.
Gli insulti, e le minacce anche di morte, contro Di Matteo, Gratteri, Maresca e altri magistrati erano parte di una strategia ben precisa eversiva e destabilizzante. Una strategia che accomunò clan ed eversione neofascista, ed infatti ci furono persino manifestazioni di piazza nell’autunno 2020 in cui erano manovratori e protagonisti uomini dei clan e neofascisti. Fummo i primi a denunciarlo e documentarlo.
Insulti e auguri di morte a Gratteri e Maresca
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SOCIAL. Nuovi insulti e minacce contro i giudici antimafia
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Minacce a Di Maio e «a tutti i napoletani», prosegue la carica eversiva che stiamo denunciando da mesi
L’eversione nera che cerca di sfruttare l’emergenza sanitaria
https://www.wordnews.it/leversione-nera-che-cerca-di-sfruttare-lemergenza-sanitaria (questo uno dei tanti articoli che in quelle settimane dedicammo alla denuncia dell’eversione neofascista)
Ci furono i massacri di Santa Maria Capua Vetere e altri carceri, ci furono situazioni terribili che sono durate mesi e mesi e mesi contro chi non aveva santi in paradiso. E ci sono state le brutali violenze i cui registi erano a capo dei clan.
L’inchiesta firmata da Antonio Crispino e Nello Trocchia (il giornalista d’inchiesta che denunciò e documentò per primo la mattanza di Santa Maria Capua Vetere a cui ha dedicato anche un libro) sul Corriere della Sera online, con la pubblicazione di alcuni audio che è possibile ascoltare qui https://www.corriere.it/video-articoli/2020/04/03/rivolta-carceri-audio-inediti-poliziotti-penitenziari-sequestrati-detenuti/2501c408-75ab-11ea-856e-f9aa62c97d7a.shtml, documenta la ferocia e le manovre dei clan e pose l’attenzione su una “rivolta” nel carcere di Foggia. Una relazione di Stefania Ascari (Movimento 5 Stelle, componente della Commissione Parlamentare Antimafia) nella scorsa legislatura riportò che la regia mafiosa dietro alcune violente “rivolte” poteva essere “fondata” anche se “ancora da verificare sul piano processuale”.
Ora un riscontro giudiziario, per quanto ancora in fase di indagini, è arrivato. Ovviamente finito nel silenzio totale omertoso dello Stato dei pennacchi e delle retoriche, delle cerimonie e delle commemorazioni. Ovvero l’operazione “Villaggio di famiglia” che ha azzerato a Palermo la famiglia mafiosa del villaggio Santa Rosalia. Inchiesta che ha documentato come nel reparto “Alta sicurezza” detenuti per reati di mafia hanno assunto il ruolo di punto di riferimento «per tutti gli altri esponenti mafiosi detenuti». Impartendo anche ordini inviati tramite pizzini ad altri detenuti.
2023-07-06 15:27:21
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